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Ritorno a Duca Lamberti

Creato il 31 maggio 2022 da Annalife @Annalisa
Primo di Duca Lamberti

Dopo aver ‘riassaggiato’, qualche giorno fa, Scerbanenco, è stato naturale andare a ripescare tutti i suoi libri, ed è stato quasi un percorso obbligato andarmi a riprendere le avventure di Duca Lamberti.

Della prima, che sono sicurissima di avere da qualche parte nella sua vecchia edizione Garzanti gialla e viola, ho ritrovato una seconda copia più recente, del 2014, dovuta alla benemerita opera dalla suddetta casa editrice che ha cominciato a ristampare i libri di questo autore, che io possiedo in alcune vecchie e altre meno recenti edizioni della Garzanti stessa, della BUR, e persino (rarissima e vecchissima) in una edizione Baldini e Castoldi.
Il merito delle ristampe sta nel fatto che, se pure hanno perso quell’aura vecchiotta che mi piace molto in alcuni dei libri che ho letto, queste edizioni hanno una buona prefazione (di autori vari: Carlo Oliva, Luca Doninelli, e anche, guarda un po’, Piero Colaprico), poche pagine che aiutano a capire meglio l’autore, e, per quanto mi riguarda, ad apprezzarlo ancora di più al di là della piacevolezza delle storie. Poi, vabbè, attenzione, nel libro di cui vado a parlare la prefazione rivela subito un particolare sul protagonista che si dovrebbe scoprire invece leggendo, e racconta anche un altro particolare, importantissimo, del finale, così che il mio consiglio è sempre: leggete dopo le prefazioni o le recensioni ufficiali che spiattellano ogni cosa.
Gradevolissima invece, sempre in questa edizione, l’appendice finale, con Vladimir Scerbanenko che parla di Giorgio Scerbanenco.

Ma torniamo alla mia rilettura.
Va da sé che la serie che apre con “Venere privata” ha argomenti tutt’altro che piacevoli: è una storia malinconica, a tratti cinica, a tratti tragica, ma mai del tutto o da una parte o dall’altra. Così come non è mai netta nemmeno la vittoria della (cosiddetta) giustizia: rimane sempre qualcosa in sospeso, di non risolto del tutto, forse persino di menzognero (così che ci si chiede, alla fine: ma ha avvero vinto la giustizia?). Credo dipenda (almeno per me è stato così) che rispetto ai gialli o ai noir classici, dove è chiaro da parte sta il bene e da che parte sta il male; dove, anche di fronte ai soliti tormentati commissari, investigatori, poliziotti mai certi di aver fatto davvero la cosa giusta, alla fine il cattivo viene punito; dove è facile parteggiare per questo o per quell’altro anche se fanno cose al di là della legge, basta che inchiodino il responsabile; ecco, rispetto agli altri romanzi di genere qui seguiamo un protagonista che non macina certezze ma instilla dubbi; e un autore che rispetta per dovere le caratteristiche di un giallo che, dopo aver provocato il disordine e le morti e le azioni criminali, dovrebbe riportare tutto nelle piste dell’ordine costituito e tranquillizzante, ma lo fa, anche lui, lasciandoci qualche dubbio che l’ordine sia stato ripristinato davvero: perché alla fine, forse, il bene trionfa, ma anche i buoni pagano un prezzo molto alto, come a dire che, spiace, ma la realtà è questa e nessuno si salva davvero.

Di sicuro, in questo primo passo tra le maglie del giallo milanese, non si sente salvato Duca Lamberti, medico, che conosciamo nei suoi primi giorni di ex-galeotto (e si scoprirà presto il perché se, come già avvisato, evitate di leggere la prefazione prima del romanzo): non si piange addosso, non recrimina, è solo teso a vivere dignitosamente e a provvedere alla famiglia. Se inciampa nel delitto, se si sente trascinato all’investigazione, e vi si trova bene, dipende dal caso che gli offre un lavoro sui generis, collegato al suo essere (stato) medico. Un lavoro che ha tutte le intenzioni di svolgere nel migliore dei modi, per poi rivolgersi ad altro, non fosse per quello che accade nella calda, afosa, apparentemente immobile Milano, ulteriore protagonista del romanzo.

Accanto a Duca vivono la storia o la sfiorano alcune donne: sono a volte deboli, magari in difficoltà, ma di sicuro con la stessa forza interiore che muove il protagonista (curioso, per un libro del 1966, una visione così disincantata e precisa dell’universo femminile, anche nelle sue più diverse sfaccettature, e non accenno a certe visioni maschiliste che pagano debito al tempo). Bastano pochi tratti per definirle, così come qualche giro di frase essenziale e preciso ci rimanda i pensieri, il modo di pensare e di vivere degli altri personaggi (Càrrua, con l’accento sulla prima a, così non lo fate arrabbiare; e Mascaranti, silenzioso, defilato, ma pronto a diventare fedele compagno di avventure del protagonista; Livia, dura, fin troppo decisa e paziente e coraggiosa, ma ci si affeziona in fretta anche a lei), anche di quelli che vivranno soltanto lo spazio di queste pagine.

Che rimane da dire?
Che a volte Scerbanenco fa un po’ il moralista? Che usa la terminologia che usava mio nonno? Che non risparmia il disprezzo per “un invertito vero, squallido terzo sesso”?
Francamente mi fanno un po’ ridere quelli che, della lettura, sottolineano questi aspetti, senza tener conto dell’epoca in cui furono scritti, di anni in cui i riferimenti socioculturali erano enormemente diversi da oggi; probabilmente senza sapere che il politicamente corretto e il mee too sono cose di questi ultimi anni, e che basterebbe andare indietro di una generazione per ritrovare gli stessi atteggiamenti verso le donne e un linguaggio simile nei confronti di quelli che oggi vengono semplicemente definiti gay; e che basterebbe grattare un po’ sotto la nostra patina di civiltà per ritrovare in molti gli stessi pensieri (senza contare che allora non si leggerebbero più Tolstoj o Dostoevskij visto come trattano ebrei e polacchi).
Allo stesso modo, trovo piuttosto imbarazzante chi sottolinea che l’autore non ha alle spalle studi canonici (si esige almeno una laurea?), senza riuscire a valutare una scrittura asciutta, precisa, tagliente e scabra; certo, ci sono echi linguistici di anni lontani, ma non sono spiacevoli, nemmeno quando ci sfiora il dubbio che di quel mondo un po’ brutale, che oggi troviamo un po’ incivile e sorpassato, Scerbanenco non è soltanto cantore ma anche convinto partecipe: non c’è umanità nei termini, nel modo in cui ci vengono presentati alcuni personaggi, così che, non bastasse la trama, anche questo aumenta il senso di dolore e di inquietudine che grava sulla città di “Venere privata”.

Giorgio Scerbanenco
Venere privata 
Garzanti, 2017
pgg 246, euro 10,90


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