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terracqua veneziana. Era da un po' che mi frullava per la testa, come se sentissi il bisogno di fare i conti con quella parte di me che ho lasciato indietro, a costo di provocare un terremoto emotivo nel rimettere piede nel luogo in cui, forse per la prima e unica volta nella mia vita, sono stata veramente Io.
Svevo già provato a programmare l'incursione un paio di settimane fa, ma il prof con cui volevo parlare non poteva. Stavolta invece non ho avvisato nessuno (ça va sans dire, il prof di cui sopra nemmeno c'era).
Porto il pupo dalla nonna, recupero la micromacchina dai miei in previsione di un parcheggio zeppo, e mi dirigo alla stazione. Già i biglietti sono diversi da quelli di 5 anni fa, stampati con le macchinette del lotto, e da qui in poi è stata tutta una sorpresa.
Oddyo, il freddo artico del treno me lo ricordavo bene.
Scambio di messaggi con la cugina veneziana (una volta ero io, sigh), ci troviamo per un caffè? Vieni a San Luca. E dove cavolo è San Luca? Io che conoscevo Venezia a menadito, doppio sigh.
Arrivo a Santa Lucia, ma mi par di essere finita alla Nave de Vero, tutta un negozio fighetto dietro l'altro. Addio biglietteria col mosaico (ehi, dov'è finito il mosaico??), addio bar all'ingresso. Ora trovi un pianoforte, ne sentivamo proprio il bisogno.
Una volta sul ponte degli Scazzi c'erano abbulanti che vendevano i gattini a molla, o quelle cose modellabili colorate; ora ci sono i pakistani che ti fanno lo sgambetto col manico telescopico per i selfie. Ma andatevene tutti a farvi un tuffo nel canale!
Tonolo c'è, per fortuna, anche se non ho avuto il coraggio di rischiare la delusione di un bignè non all'altezza dei miei ricordi. C'è anche il barcarolo che vende la frutta, sempre allo stesso posto, dietro San Barnaba.
Sono passata al mio vecchio collegio, tutte le suore sono cambiate, è andata via anche Caterina che lavorava in amministrazione.
L'Accademia vecchia è stata un trauma: vedere il soffitto della mia aula di pittura con faretti moderni al posto degli sgangherati neon, per non parlare di quello che era il passaggio dal cortile di ingresso a quello Palladiano, tra le macchinette del caffè e le toilette, che ora è chiuso da una vetrata sciccosissima.
E Gino Panino? Dove sono finiti i tavolini di alluminio da 4 soldi? Perché c'è il gelato artigianale? E cosa sarebbe questa storia della divisa in bianco e nero? E i tavolini di marmo noooo!!
Poi arrivo agli Incurabili, dalle calli verso l'entrata posteriore, e vengo accolta da quel profumo inconfondibile di trementina, olio di lino e solvente.
Entro dall'ingresso principale e non solo trovo il vecchio portinaio, ma pure si ricordava di me ed è stato felicissimo di vedermi! Mi son commossa.
Gli studenti sono sempre uguali, e anche i corridoi sono il solito labirinto di tele e cavalletti.
Entro nell'aula di pittura, sento da lontano la voce del Capo, ma intuisco che è occupato. Una ragazza sta facendo fare un giro a degli amici, credo, e dice "di qua non possiamo entrare, c'è quello cattivo". Certe cose non cambiano mai.
Salgo in cerca del prof di anatomia, che dopo un bel po' di attesa scopro non essere in sede, amen.
Torno in aula di pittura, il Capo si è spostato e mi arrischio a metter dentro la testa. Mi saluta e mi fa pure accomodare, nonostante fosse a colloquio con tre studenti. Mi propone di riscrivere lo statuto, mi stava per scappare la battutaccia ma mi sono trattenuta...poi mi definisce "brava a disegnare, più restia a dipingere". Caspita, dirle prima 'ste cose no, eh? Tipo 12-14 anni fa?
Che strano, ritrovarmi timida e spaurita come alle revisioni del primo anno. Io che alla fine gli tenevo pure testa nelle discussioni.
È stato un incontro imbarazzato e breve, troppo breve. Mi sono un po' pentita di non essere rimasta, di non aver aspettato un secondo incontro.
Me ne sono andata con una gran malinconia, dopo aver salutato le modelle di pittura che pure si ricordavano ancora di me.
Lo schiaffo di emozioni che mi aspettavo non è arrivato. È stata una gita strana, ero io eppure non ero io. E sì, non ci si bagna due volte nello stesso fiume e blablabla.
A parlare col Capo mi son sentita un po' banale, sposata, faccio la mamma...quando in Acca ero combattiva e piena di sogni. Ci ho messo l'anima in tutto, non solo nello studio, ma anche come rappresentante degli studenti. Sono stati anni importanti, la prima Consulta, l'autonomia, la specialistica e il triennio. Ho partecipato a riunioni, collaborato a scrivere lo statuto, contribuito alle basi di quella che è oggi l'Accademia. Se la chiamo la "mia" scuola, è perché l'ho proprio fatta.
Dopo la laurea, non ho trovato altro per cui sentissi di poter combattere altrettanto, in cui mettermi anima e corpo, per cui provare la stessa passione. L'ho voluta con tutte le mie forze. Con grande difficoltà sono riuscita ad emergere del mio blob personale e diventare me stessa. Per poi perdermi di nuovo appena varcato il portone.
Speravo di ritrovarmi, o di trovare almeno un pezzettino di quella che ero. Brillante, determinata, stimata.
Non è che non sono contenta di dove sono adesso, anzi, non rinuncerei per niente al mondo ad Apollo e Apelle. Ma mi manca qualcosa. Mi manco io.
Mi manca quella che avrebbe detto al Capo "questi studenti sono come eravamo noi, spaventati da lei perché non si sa mai se diciamo una parola di troppo o una in meno, se usiamo il termine corretto, se la nostra idea funziona o se la manderà su tutte le furie. E dopo aver passato anni col terrore di un confronto, ti ritrovi a sentirti rivolgere una verità che avresti pagato oro per conoscere allora. E capisci che è solo una facciata, e che la paura ci toglie la possibilità di crescere. A meno che non la vinciamo, come ho fatto io. Anche questa è una prova, e se ho iniziato pensando di dirle che sta sbagliando, ora che sono arrivata qua capisco che sta facendo bene. Per questo lei è il Capo". E avrei accettato quella sigaretta, puntualmente offerta e puntualmente rifiutata, solo per vedere che faccia avrebbe fatto.
Sono tornata a casa dopo un giro e quattro chiacchiere con la cugina veneziana. Nel portafoglio 10,40 euro di meno, un biglietto di andata e ritorno in un posto che mi sembra lontano anni luce ma che ad andarci scopro essere dietro l'angolo. Forse anche io sono lì, dietro l'angolo, tra gli oleandri e il profumo di trementina, ma ancora non lo so.
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