di MIchele Marsonet. L’interesse per il pensiero di Samuel Huntington, il grande politologo americano scomparso nel 2008, continua a crescere nonostante le interpretazioni forvianti che in passato vennero fornite del suo celebre libro “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”. I fatti sono noti. Quando il volume fu pubblicato molti lo lessero come mero tentativo di riaffermare il primato dell’Occidente alla fine del conflitto ideologico con l’Unione Sovietica e gli altri Stati che si rifacevano – spesso solo verbalmente – al marxismo. In realtà l’intento di Huntington era ben diverso, e lo conferma un’intervista di Federico Rampini a Fareed Zakaria comparsa su “La Repubblica” del 23 agosto.
Iniziamo col dire che Zakaria, giornalista e analista politico di origini indiane, dirigeva la prestigiosa rivista “Foreign Affairs” quando nel 1993 uscì l’articolo originale di Huntington sullo scontro di civiltà che costituisce il nucleo del volume dianzi citato. Dello studioso americano egli è anche stato allievo all’università di Harvard, e ha quindi assistito in diretta alla nascita delle sue tesi. Non a caso rammenta che il titolo dell’articolo del ’93 finiva con un punto interrogativo: “The Clash of Civilizations?”, poi eliminato nel successivo volume. Ciò significa che il politologo esprimeva le proprie idee in forma dubitativa, aperta a eventuali critiche e contestazioni.
L’impatto del volume fu subito forte, ma raggiunse l’apice in due momenti distinti. In un primo tempo dopo l’11 settembre 2001 e, più recentemente, a seguito del fallimento delle primavere arabe. Si è passati dai fraintendimenti e dalle critiche più feroci all’esaltazione. Oggi, infatti, Huntington è da molti considerato una sorta di profeta che aveva previsto con precisione l’espandersi del conflitto tra l’Occidente da un lato e il fondamentalismo islamico dall’altro. Zakaria invita però a evitare esagerazioni di qualsiasi tipo.
Senza dubbio lo studioso americano percepì con precisione i potenziali sviluppi del conflitto di cui prima si diceva. Comprese, in sostanza, che le ideologie stavano rapidamente perdendo la loro capacità di mobilitare le masse, ma previde pure che sarebbero state sostituite da altri elementi. Di qui la convinzione che il senso dell’identità culturale – basato soprattutto sulla religione – avrebbe presto assunto un ruolo primario sul piano globale per quanto riguarda la capacità di mobilitazione.
Huntington trascurava tuttavia altri dati di fondamentale importanza. Innanzitutto la potenza del processo di modernizzazione che, estendendosi all’intero pianeta, ha “diluito” le stesse identità culturali mediante la diffusione di valori e stili di vita tipicamente occidentali. All’interno di molti Paesi islamici, per esempio, troviamo parte della popolazione che intende mantenere e rafforzare la tradizione religiosa, rendendola unica fonte del diritto. E un’altra parte che, pur non assumendo posizioni apertamente anti-religiose, vuole garantire la laicità dello Stato e la possibilità di esprimere liberamente le proprie opinioni.
Altrettanto importante è la constatazione che i protagonisti delle relazioni internazionali sono gli Stati, non le civiltà. Essi agiscono in base agli interessi nazionali, che possono anche non coincidere con le culture. Senza trascurare, infine, il pericolo di considerare l’Islam alla stregua di un blocco monolitico. La contrapposizione feroce tra sunniti e sciiti ne è la prova più lampante, alla quale vanno aggiunti i nazionalismi che affondano le loro radici nella storia. Al di là della comune religione turchi e persiani si considerano diversi dagli arabi (e lo sono), né le nazioni del Maghreb si possono facilmente assimilare all’Arabia Saudita e ai Paesi del Golfo.
In ogni caso le tensioni tra Islam e Occidente sono precedute da quelle che dividono internamente gli stessi Paesi islamici, come si è recentemente visto in Turchia e in Egitto. Huntington, pur conservatore, non si sentiva affatto un “guerriero dell’Occidente”, e proponeva invece di stabilire un dialogo permanente con le altre culture per dar vita a un mondo multipolare. Su questo punto venne indubbiamente frainteso. Se fosse ancora vivo concorderebbe con il suo allievo Zakaria circa l’impossibilità di trasferire in modo automatico le regole della democrazia liberale in contesti culturali così diversi, e ancor più sull’inutilità delle cosiddette “guerre democratiche”.
Featured image, Samuel Huntington (fonte Wikipedia).
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