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Ritratto maldoniano di un esule inconscio (terza parte)

Da Villa Telesio

Ritratto maldoniano di un esule inconscio (terza parte)

leggi la prima e la seconda parte (questo racconto è figlio del ciclo maldoniano di Villa Telesio)

leggi la prima e la seconda parte della versione alternativa (di Moises Di Sante)

“Ecco, io…dovevo portare questo a voi, credo”

“E cosa sarebbe, ‘questo’?”

“Ecco, questo è….è il sogno di mio padre, però, però quel bambino, ecco, io….”

Mario T. si risvegliò in una specie di sala operatoria, della musica (rumori più che altro) lo assordavano: poi mise a fuoco. Due tette lo guardavano rilassate. Era un’androide curatrice di terza generazione.

“Benissimo, Mariuccio, benissimo. Rilassati, dormi un altro po’”

“No no, io cazzo, io non voglio dormire, caz”

Gli (o forse sarebbe meglio dire “le” androidi) si guardarono soddisfatti, con in mano quel piccolo crocifisso fatto di cavi elettrici intrecciati che il figlio di Tzozius aveva dato dato loro. Aumentarono il volume del cacciatore di sogni, ultimo modello (Chiesa56H), e si spensero in attesa del successivo risveglio.

Il sapore della cipolla era insopportabile, ma oscenamente buono. Il bambino si pulì le mani sulla sua tunica sporca e disse a Mario: “Adesso puoi andare, sappiamo chi sei. Che Lui ti benedica”. E Mario andò, iniziò a correre e vide torrenti di informazioni scorrere lenti lungo le facciate dei palazzi di Maldonian, vide puttane senza denti sputare sul marciapiede e chiamarlo “Ehi, piccolo Bernardino, vieni qui, assaggia questo”, spogliarsi tossiche di fronte ai suoi occhi angosciati, mostrando rotondità cancerogene e denti trasparenti. Lo colpirono due cose: le sue scarpe (o meglio: le scarpe che non aveva) e l’acqua del mare in cui si ritrovò a correre, verso una piccola torre con su scritto: “Dall’ungherese: minestra di gatto malesiano”.

“Papà”, disse Mario. Senza sapere perchè.


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