Era da tempo che non si vedeva così tanta nebbia in laguna. Fitta, quasi densa. Virginia si scostò dalla finestra.
"E' ora di andare", disse ad alta voce, quasi a convincersi ad uscire dall'amata biblioteca. Sotto i suoi passi, una volta felpati, le assi spesse di legno lucido emettevano dei piccoli gemiti e sorrise pensando a com'era divertente, un tempo, attraversare lunghi e bui corridoi senza che venisse notato il suo passaggio. Ma aveva barattato i morbidi cuscinetti delle zampe con due piccoli piedi ed al cambio ci aveva sicuramente guadagnato. Chiuse il pesante portone dietro di sè e cercò subito rifugio nel calore di un fiammifero la cui fiamma, prima bianca e poi blu, accese una sottile sigaretta. "A qualche tentazione devo pur cedere!", si disse, quasi a trovare una giustificazione per quel vizio sciocco al quale non voleva rinunciare. Le piaceva aspirare avidamente e sentire il fumo farsi spazio nella gola e nei polmoni per poi perdersi nelle volute azzurrine che ogni volta disegnavano arabeschi dalla vita breve.
Aspirò ancora e poi ancora e la lunga e rossa brace illuminò la figura scura che si era improvvisamente palesata. "Ma da dove sbuchi?" pensò Virginia senza avere il tempo di spaventarsi. Attaccò, per difendersi. "Ci conosciamo?" domandò, cercando di illuminare con quanto restava della sigaretta la memoria e il volto dello sconosciuto. "Ci siamo scambiati emozioni e promesse qualche tempo fa", rispose una voce appena roca che le sfiorò la gola, come una lama tagliente. "Ed ogni promessa è un debito", concluse. "Sei venuto a riscuotere, quindi. Non pensavo fossero trascorsi così tanti anni" replicò Virginia, quasi distrattamente, spegnendo la sigaretta con la punta dello stivale. Mise le mani in tasca per non svelare al Principe il tremore che si era impossessato del suo corpo. "Sono una stupida! Come ho fatto a non sentirlo!" esclamò in silenzio. "Le tue vibrisse non sono più quelle di una volta" sorrise sornione il Principe, mentre con l'indice destro le sollevò il mento. "I tuoi occhi non sono cambiati" continuò "ma è un'altra la parte di te che mi interessa" concluse.
Virginia riavvolse la memoria come faceva l'ultimo suo padre quando, armato di cinepresa e schermo riavvolgibile che sapevano di soffitta, le ricordava i suoi sorrisi di bimba con fossette e smorfiacce rimasti impressi nella pellicola dei super8. E si fermò al fotogramma di quella terribile giornata, quando il delirio della superstizione e dell'ignoranza divennero il rogo nel quale stava bruciando.
Avvolta dal fumo emesso dai rami umidi che stavano iniziando a bruciare, e le cui fiamme già lambivano i piedi, maledì gli uomini che aspettavano impazienti di sentirmi urlare di dolore e gridai loro tutta la mia rabbia."Perchè mi fate questo? Non voglio morire, non è giusto!" continuai a gridare con il cuore e nelle orecchie, improvvisa, risuonò una risposta: "E' il buio della mente degli uomini, povera cara, e non si fermeranno qui. A loro interessa bruciare il tuo corpo per sperare, inutilmente, di salvarsi ed a me interessa invece la tua anima. Potrai tenerla finchè vorrò ma non mi sembra il caso di soffermarsi sui dettagli, in questo momento.""Non voglio dar loro questa soddisfazione, risposi, Liberami!" Il pensiero non era ancora terminato e le ruvide corde che mi avvolgevano strettamente si allentarono, mentre il mio orizzonte andava via via modificandosi, abbassandosi. Saltai giù dal patibolo e le vibrisse mi aprirono la strada tra il fumo spesso. Corsi, abile, sempre più veloce, mettendo forza e metodo ad ogni balzo, fino a quando anche l'ultima casa del villaggio si era fatta piccola. Il bosco mi accolse e la voce che mi aveva salvato la vita mi avvolse come un lungo e pesante tabarro. "Eccoti! Sei stata brava!" esclamò lo sconosciuto mentre mi raccoglieva da terra, incamminandosi verso il bosco. Mi sentì al sicuro e il mio corpo iniziò a vibrare di morbide fusa."Agli uomini il bosco non è mai piaciuto molto: non sanno cosa aspettarsi da esso e lo temono. Che sciocchi esserini! Qui sarai al sicuro. Ti porterò in una casa di una vecchia amica. Sa tutti i segreti del bosco e del fiume che lo lambisce ma i suoi giorni sono quasi alla fine. E tu non puoi restare gatto per sempre."
La memoria corse veloce. Il fuoco, il paiolo, le pergamene. Con il tempo divennero i suoi giochi e poi i suoi strumenti. Con il tempo gli uomini ebbero sempre meno paura del bosco ed impararono ad attraversarlo prima ed a violarlo poi. Con il tempo le pergamene divennero libri ed il legno degli alberi le auguste librerie della sua biblioteca.
"Finchè vorrò, mi dicesti....sono passati secoli..." riflettè Virginia. "Sai com'è" continuò il Principe "il tempo è un problema solo per chi ha una scadenza. Il mio punto di vista è l'eternità e quindi amo prendermela comoda. Ma non dimentico. E ora voglio la tua anima."
"Il mio fegato, vorrai dire" rispose pronta. "Quando sottoscrivemmo il contratto la conoscenza umana si era formata sugli studi di Platone e di Galeno. Ricordi? Le specie erano due: immortale e mortale. E mentre per la prima la sede dell'anima, razionale, era il cervello, per la seconda, ovvero quella irascibile ed appettibile, le sedi erano due: il cuore e il fegato. Ma i testi di anatomia astrologica riportavano a Giove (quindi ad una concezione epicurea del corpo umano) la protezione della ghiandola più grande, quella che contiene più sangue, che filtra le impurità e che sa essere come la vita, un po' dolce ed un po' amara."
"Fermati! Non mi piacciono i tuoi giochetti ma so già che non ne caverò nulla di buono! E così sia: sono venuto a concludere il contratto. Se la tua anima è nel tuo fegato voglio il tuo fegato!" concluse indispettito.
"Non ti voglio ingannare Principe, lungi da me, ma quel che è giusto è giusto." Virginia fece uscire dalla sua ampia borsa in pelle un piccolo vasetto di vetro opaco e lo avvicinò al suo interlocutore. "Visto che il fegato è la ghiandola più grande del corpo umano che me ne dici se ne tengo un piccolo pezzettino come ricordo? Non me ne farò nulla e di me potrai avere anche il resto, visto che senza fegato morirò presto." Senza rispondere il Principe le sfiorò la parte destra, appena sotto il seno, e si sentì avvolgere da uno strano calore che scomparve, come la figura scura avvolta dal pesante tabarro.
Guardò il vasetto che teneva fra le mani dove faceva bella mostra di sè un piccolo, caldo, liscio pezzettino di carne color rosso scuro. Nonostante l'umidità le stesse mordendo le ossa un sorriso le increspò i lati del volto. Riaprì il pesante portone ed attraversò nuovamente i lunghi corridoi della biblioteca, scendendo per scale a chiocciola sconosciute ai più. Raggiunse un piccolo laboratorio, in tutto e per tutto identico alla stanza dove la sua maestra l'aveva edotta per moltissimo tempo, quando ancora il legno degli scaffali della biblioteca erano gli alberi che proteggevano la piccola casa che l'aveva accolta. Appoggiò il prezioso vasetto sopra un tavolo consunto dal tempo e riprese a leggere quanto in tutti quegli anni aveva quasi imparato a memoria: la dettagliata descrizione di una pozione che avrebbe trasformato un piatto a base di cipolle in una ghiandola funzionante.
Indossò le cuffiette dell'ipod e Yaël Naïm l'avvolse con la sua voce intrigante..."You're toxic I'm slipping under/With a taste of a poison paradise"...iniziò ad affettare sottilmente il rosso ortaggio.
"Sai Principe - pensò Virgina sorridendo - anche il mio punto di vista è l'eternità."Un piatto semplice e povero della tradizione veneziana, in realtà del tutto simile a preparazioni analoghe che vengono ancora consumate nei paesi ottomani, è la pozione magica che ha cucinato Virgina: il delicatissimo fegato di spigola non deve essere cotto troppo, pena lo sviluppo di sentori troppo amari (ed ecco la scelta della vasocottura) e della perdita della sua consistenza. La cipolla deve mantenere una certa croccantezza, necessaria al piatto. Il fico, che nella grammatica dei sapori ben si associa al fegato, è la contrapposizione dolce mentre l'affumicatura con il legno di melo e vaniglia avvolgono con i fasti della Serenissima la semplicità degli ingredienti usati.
Fegato di spigola e cipolla di Tropea affumicati al legno di melo e vaniglia, cotti a bassa temperatura, con succo di fico e vino passito Ingredienti (per 4 persone) 200 g di fegato di spigola, 200 g di cipolla di Tropea, 1/2 cucchiaino di segatura di legno di melo, 1/2 cucchiaino di baccello di vaniglia secca e tritato, 1 cucchiaio di succo di fichi freschi (ho usato quello di fico rosa di Pisticci, prodotto dalla ditta Terra Vecchia) , 2 cucchiai di vino bianco secco, olio evo, sale di Maldon in fiocchi, sale nero in fiocchi, pepe nero lungo macinato al momento, 2 cucchiai di vino passito, cannella. Per accompagnare qualche fetta di brioche preparata con metà burro salato e del coriandolo e tostata appena e per vino scegliete un passito maturo, che abbia almeno una decina d'anni. Procedimento Con delicatezza inserire in un sacchetto da sottovuoto i piccoli fegati, 1 stecca (2 cm) di cannella e due cucchiai di vino passito, Sigillare e far riposare in frigo un paio d'ore. Accedere il forno statico a 120°. In una padella rosolare per qualche minuto la cipolla tagliata sottilmente, sfumare con il vino bianco e cucinare fino all'assorbimento: deve essere cotta ma rimanere croccante. Togliere dal fuoco, regolare di sale utilizzando quello nero in fiocchi e profumare con il pepe nero. In un contenitore adatto alla vasocottura distribuire la cipolla brasata, continuare con i piccoli e delicati fegati crudi sgocciolati dalla marinata, qualche goccia di ficotto, qualche goccia di olio evo, pepe nero macinato al momento e qualche fiocco di sale di Maldon. Mescolare il legno con la vaniglia ed accendere la pistola per l'affumicatura a freddo, riempire di fumo il contenitore con l'apposito cannello fino a riempirlo. Sigillare con il coperchio e la guarnizione e cucinare per 12' nel forno già caldo a 120°. Sfornare (nel frattempo il fumo sarà stato assorbito dagli ingredienti, profumandoli), aprire e servire immediatamente con delle fette di brioche.