Dopo la guerra alla gravidanza tramite l’aborto e al matrimonio tramite il divorzio, stiamo per passare alla fase finale: la guerra contro l’identità sessuale. Una guerra già inaugurata dalla cosiddetta teoria del gender secondo cui, per farla breve, maschi e femmine forse si nasce ma uomini e donne certamente si diventa; ne consegue che la natura altro non è che figlia della cultura e, come tale, variabile e modificabile a piacimento. Il sesso biologico – secondo questa teoria – scompare per far spazio ai generi, che sarebbero un’enormità. Addirittura 23 secondo l’Ahrc, acronimo che sta per Australian human rights commission: uomini, donne, omosessuali, bisessuali, transgender, trans, transessuali, intersex, androgini, agender, crossdresser, drag king, drag queen, genderfluid, genderqueer, intergender, neutrois, pansessuali, pan gender, third gender, third sex, sistergirl e brotherboy.
Bel caos, vero? Se ne sono accorti pure laggiù, in Australia, dove un tribunale – la Corte d’Appello del Nuovo Galles del sud, a Sydney – traendo le dovute conseguenze di quest’assurdità, per la prima volta ha conferito riconoscimento legale a coloro che non si identificano né come uomo, né come donna, evidenziando la libertà di definire il proprio, udite udite, quale «sesso non precisato». Sai che soddisfazione, che conquista, questo pantano ideologico nel quale ci sta trascinando l’edonismo. Fortuna vuole che a metterci in guardia dalla follia dei generi sessuali, oggi, vi siano intelligenze femminili e pertanto non tacciabili di oscurantismo maschilista; penso a Marguerite Peeters, a Dale O’Laeary, a Naomi Wolf, a Gabriele Kuby e a tante altre. Tutte donne in un certo senso ribelli anche se non fanno altro, a ben vedere, che ribadire il contenuto di una pagina antichissima eppure divenuta pura sovversione: «Maschio e femmina li creò» (Gn 1,27). Chi l’avrebbe mai detto che sarebbe stata la vituperata Genesi, l’antidoto giusto alle derive contemporanee.
Stranezze del destino. O forse, semplicemente, la necessità di tornare indietro, il più indietro possibile. Perché quando una società guerreggia da decenni contro natalità e nuzialità – ossia la capacità dell’uomo di riprodursi e di unirsi – è inevitabile che prima o poi arrivi a mettere nel mirino l’uomo stesso e la sua capacità di esistere attraverso l’avversione a quell’attribuito primigenio che risponde al nome di sessualità, classificandola in 23 identità di genere diverse o addirittura in un «sesso non precisato», che poi sono due facce della stessa medaglia. La medaglia dell’edonismo che non subordina il piacere all’uomo bensì l’uomo al piacere, che non libera la sessualità ma ci libera dalla sessualità. Quante follie ci saremmo risparmiati se ieri, anziché dare retta alla rivoluzione sessuale – primo e falso nome dell’odierna rivoluzione a-sessuale -, ci fossimo tenuti stretti la Bibbia. Che comunque, grazie a Dio, siamo ancora in tempo per rileggerci.