Il biglietto comprato sei mesi prima dell’evento, le mega compilation onnicomprensive a scopo preparatorio mandate giù a memoria, i lunghi periodi di latitanza di musica dal vivo, tutto concorre a fare in modo che la sera prima della partenza io stia letteralmente fremendo all’idea di tre giorni sotto gli amplificatori. Conto le ore che mancano all’inizio e mi sento addirittura fortunato a prendervi parte, questo festival mi recuperato da una parabola discendente di ascoltatore che mi vedeva bloccato sempre sui soliti gruppi, le stesse etichette e il vuoto completo del mainstream. Grazie a Walter e soci ho recuperato interesse per l’underground e dissotterrato roba dimenticata; lo dico: il Roadburn mi ha reso una persona migliore. Vabbè, il resto del panegirico e la cronaca sono qui sotto.
Giorno I
Il running order del giovedì di quest’anno è con ogni probabilità il peggio assemblato della storia, l’idea di perdermi (tra gli altri) Beastmilk, Goatess e Conan mi ha provocato grosse crisi interiori, tanto da farmi perdere ogni dignità e andare sulla pagina Facebook del festival a frignare con gli organizzatori di tanta crudeltà. Il mercatino di dischi e merchandise posizionato all’aperto per quanto molto invitante, dovrà aspettare e quindi archiviata la prima irrinunciabile birra di rito al Polly Magoo (il momento più bello dell’anno) è subito ora del rock’n’roll. In preda all’ansia di vedere tutto il possibile, ascolto pezzi di Brutus, Sourvein e Regarde Les Hommes Tomber, mi sembra tutta roba mediamente fica ma sono un po’ in confusione. Passata la fase bulimica il primo scapocciare serio parte con I Lord Dying, uno dei molti gruppi della pattuglia Relapse presenti quest’anno, che oltre a spaccare di brutto ripropongono a distanza annuale l’annoso dibattito sul perché l’heavy metal richiami a sé da sempre gli
Giorno II
Neanche ventiquattro ore ma gli effetti benefici del metallo sono già evidenti, la positività è alle stelle e le conversazioni della mattina hanno come principale argomento fantasie selvagge tipo mollare tutto e trasferirci da queste parti: vita di provincia, poco stress e poi ovviamente lo 013 con la sua programmazione sempre gravida di eventi per gli amanti della musica e delle capre. Si discute quindi dei possibili business, le scelte vanno a cadere su quelle che sono notoriamente le eccellenze del Made in Italy.
Il secondo giorno era la grande scommessa dell’edizione di quest’anno, non pochi avevano mostrato scetticismo sulla scelta di Mikael Åkerfeldt come curatore in quanto poco affine alle tipiche sonorità del festival. Perché se sono ormai alcuni anni che il bill sta in maniera graduale espandendo i propri tradizionali orizzonti, la scelta di puntare in maniera così decisa sul progressive poteva essere un passo falso. Così non è stato e forse dei vari curatori che ci sono stati nel corso degli anni Åkerfeldt è stato forse il migliore, sicuramente quello che ha osato di più e che ha vinto la propria personale scommessa. L’inizio di giornata è qualcosa di fenomenale, i Magma sono esperienza quasi rivelatrice, show progressivo nel senso meno deteriore del termine, una cosa tra il folle e il furibondo, top assoluto della tre giorni. Quelle cose che ti danno il senso di quanto poco ne sai e ti fanno voglia di passare il resto della tua esistenza chiuso in una stanza ad ascoltare e recuperare dischi. Quelle cose che dici: solo al Roadburn. Ancora scosso da tale bombardamento sonoro mi ritrovo per caso in un turbine di psichedelia vecchia scuola, Lenny Kaye invitato dagli organizzatori a parlare di Nuggets si sta ora esibendo con alcuni rabbiosi giovinastri heavy psych che rispondono al nome di Harsh Toke. Siamo al momento in cui tutto sembra essere perfetto, il festival (o forse sono io) sembra essere entrato nella sua zona aurea. La vista dei Comus mi lascia inizialmente disarmato: una serie di vecchi bacucchi seduti su delle sedie e senza manco una batteria ma solo un percussionista a dare il ritmo, bastano pochi i brani dal classico First Utterance e qualcosa dal disco del ritorno a farmi cambiare radicalmente idea su quello che sto vedendo. Come diceva il grande Pizzul: tutto molto bello. Un po’ di shopping tra magliette, cd e vinili e si rientra per onorare i compatrioti Goblin che dopo un inizio super poliziottesco virano come da copione verso tutto il baraccone horror, tra spezzoni di film e storiche colonne sonore di paura lo show è poco meno che trionfale. Menzione obbligatoria e complimenti per il suono assolutamente perfetto. In un flusso pressoché ininterrotto arrivano poi i Candlemass alle prese con Ancient Dreams, il nuovo cantante Matt Levens ha un’impostazione ultra classica, per quel che mi riguarda un deciso passo avanti rispetto al semi impresentabile Robert Lowe e al suo occhio scappellato; nel finale arrivano anche Bewitched e Solitude tanto per gradire. In questo favoloso contesto forse sono proprio gli Opeth in chiusura ad essere l’anello debole, sarà che li conosco poco ma in generale se una band ha avuto una tale evoluzione nel corso del tempo forse ha senso che proponga quello che fa oggi piuttosto che fare un pastone in cui convivono cose così distanti fra loro. Nonostante alcuni buoni momenti il concerto mi sembra quantomeno disgiunto, pensare di fare un live in cui voler mettere insieme tutto e il contrario di tutto non mi sembra una soluzione ottimale. Poco male, per oggi può bastare.
Giorno III
Il terzo giorno ai festival è sempre più rilassante, non so spiegarmelo, forse la gente è un minimo più sedata di watt, in generale sembra esserci ovunque meno ressa e l’accesso ai vari concerti è più tranquillo. Nello sbrago generale è giusto concedersi un po’ di shopping, vagando tra i vari stand e guardando cose comprendo un minimo l’impulso femminile irrefrenabile al girovagare per mercatini. Uno dei banchetti ha una serie di toppe assolutamente inarrivabili che fanno sorgere in me il rimpianto di non aver mai avuto un battlejacket e la conseguente voglia comprarmi un giacchetto jeans smanicato e iniziare a decorarlo con roba da vero headbanger. Meglio tardi che mai, ma è sempre importante avere un progetto nella vita. Il martirio sonoro inizia prestissimo pestando duro con gli 11 Paranoias, pesantissimi ma abbastanza dinamici per il genere (doom claustrofobico) soprattutto grazie al batterista che sostituisce il dimissionario Mark Greening, oggi a tempo pieno negli Electric Wizard. Guardando la scaletta, decido a priori che gli E-Musik Gruppe Lux Ohr con un nome del genere sono il mio nuovo gruppo preferito, mi avvio a vederli non sapendo ne chi siano né che roba suonino. Si tratta di alcuni tizi male in arnese che suonano pianole sintetiche dall’iperspazio. Idoli.