(Foto di © Robert Capa/Magnum/Contrasto)
Dal 15 marzo al 14 luglio 2013, saranno esposti a Palazzo Reale gli scatti più famosi di Robert Capa, uno dei maestri della fotografia del XX secolo, quello che il Picture Post definì nel 1938 “Il migliore foto reporter di guerra nel mondo”.
L’esposizione, nata per celebrare il centenario della nascita di Capa, racconta il percorso umano e artistico di questa personalità incredibile, tracciando una panoramica generale di quella che fu la sua carriera. Una carriera durante la quale riuscì a ritrarre ben cinque guerre con una potenza e un’immediatezza mai viste. Infatti Robert Capa, con le sue fotogafie, non si limitò a dare solo una mera documentazione degli eventi, ma riuscì a dipingere dei veri e propri affreschi storici intrisi di umanità. Le situazioni specifiche, gli sguardi dei civili, degli innocenti, dei militanti fanno infatti dei suoi scatti le icone della lotta, della resistenza e della dignità umana davanti alla sofferenza. Questi sono sentimenti che il fotografo ha vissuto sulla propria pelle. Capa fu egli stesso un rifugiato politico, un ebreo costretto a fuggire dalla nativa Ungheria. Queste esperienze segnarono la vita del fotografo, portandolo a sviluppare una profonda empatia, una fratellanza con i protagonisti dei suoi scatti, e una volontà di fare della fotografia un’arma di denuncia.
Emblematico è il ritratto del miliziano spagnolo colpito a morte, esposto nella sezione “Spain”, divenuto uno dei simboli della lotta antifascista. Un’immagine così cruda e così vera che non può essere osservata senza sentire nella propria testa i rumori degli spari, delle urla dei soldati, del sapore dell’erba della collina dove erano appostati Robert Capa e il miliziano, e dove uno dei due è stato ucciso. La stampa inglese (più precisamente un anziano reporter invidioso del talento del venticinquenne ungherese) riuscì anche a mettere in dubbio l’autenticità della foto, sostenendo che l’uomo ritratto stesse fingendo di cadere. Ma grazie alle testimonianze di molti presenti si è certi dell’autenticità della fotografia: è stata scattata a Cerro Muriano durante la guerra civile spagnola e il miliziano antifascista si chiamava Federico Borell Garcia.
La mostra è suddivisa in undici sezioni: Leon Trotsky (1932), France (1936-1939), Spain (1936-1939), China (1938), Britain & Italy (1941-1944), France (1944), Germany (1945), Eastern Europe (1947-1949), Israel (1948-1950), Indochina (1954), Friends.E percorrerle tutte è come compiere un viaggio attraverso vent’anni di storia del Novecento. Si odono rumori stridenti, metallici, scoppi, spari e bombardamenti, si sentono le grida della gente in rivolta, i pianti di madri al funerale dei propri figli morti per combattere il nemico. Si sente l’odore acre del sangue, della polvere, del fango, e del mare. Specialmente il mare della Normandia. Sono infatti presenti le fotografie che diedero il nome alla raccolta delle sue memorie corrette niente poco di meno dall’amico e “padre adottivo” Ernest Hemingway.: “Slightly out of focus”. Si tratta infatti degli scatti leggermente sfocati che Robert Capa fece dello sbarco in Normandia. Sfocati a causa del tremito della mano di chi partecipava al D-day impugnando una macchina fotografica.
La stessa macchina fotografica che gli permise nel 1932 di ritrarre Lev Trotsky, nonostante l’ suo esplicito divieto ai fotografi di entrare con la loro pesante e ingombrante attrezzatura ad una lezione di storia della rivoluzione russa a degli studenti danesi. Capa fotografò il politico con una piccola Leica che infilò prudentemente nella tasca della giacca, mentre fotografi provenienti dal mondo intero rimasero fuori dal teatro dove si era tenuta la conferenza con in mano un pugno di mosche. Questa fu la sua prima storia pubblicata, la cui importanza giornalistica gli valse subito il premio come miglior fotografo dell’anno.
In mostra sono inoltre presenti alcuni bellissimi ritratti di personaggi famosi – da Picasso a Hemingway, da Matisse a Ingrid Bergman – che dimostrano che Capa non non deve essere semplicemente relegato al titolo di fotografo di guerra: molte delle sue immagini infatti catturano, con sensibilità e arguzia, anche le gioie della pace. Se proprio lo si vuole etichettare, bisognerebbe definirlo il fotografo della vicinanza.
“Se le vostre fotografie non sono abbastanza buone, vuol dire che non siete andati abbastanza vicino”, afferma Capa nelle sue memorie. La vicinanza di cui parla Capa non è solo una vicinanza fisica al soggetto fotografato, ma la vicinanza che porta all’ immediatezza, all’ empatia, all’ umanità, alla bellezza struggente di immagini che riescono a mostrare l’orrore che affligge l’intero popolo attraverso il volto di un bambino.
di Valeria Bono.
(Foto di © Robert Capa/Magnum/Contrasto)