Sogno, realtà, dormiveglia. In questo campo d’indagine si muove l’arte di Robert Gregory Griffeth, fotografo statunitense dalla chiara quanto sfumata impronta postimpressionista.
Un novello Caravaggio per uso di luci e forme plastiche, in cui la nuova tela diventa la pellicola e il pennello l’obiettivo. I suoi scatti più riusciti rappresentano la donna, l’altra metà del cielo che qui acquisisce libertà diventando altro. Una figura sensuale spesso erotica nel suo infantilismo carnale che esplode in una serie di collage, immagini sovrapposte e simbolismi nascosti. Un’impostazione questa che ricorda l’arte pop (creepy pop) privata ed epurata di qualsiasi rimando alla gioia.
In una sequenza di angeli dalle ali di cartone, scheletri in letti troppo piccoli e sovrastati dall’immagine di un Dio onnipresente quanto invisibile, troviamo frammenti di gesso e numeri binari, i primigemini segni di un mondo prossimo al collasso. E’ qui che in una serie di fotografie sfocate e prive di colore il messaggio si forma e si carica di una naturale quanto straordinaria forza espressiva, mentre noi come martiri ammiriamo la santità della donna carnale, il grido degli angeli dalle ali di cartone alla ricerca del nostro numero.
Una polaroid sfocata sul lato oscuro del mondo, una rappresentazione di quel momento che supera di poco l’attimo, lasciandoti stanco e alla ricerca di luce.
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