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Le voci del mondo (1992, tit. or. Schlafes Bruder) di Robert Schneider è intanto una favola lontana. Lontano e idilliaco quadro paesano, rude, selvatico. Non fosse per il freddo alpino, spazzato via talvolta dal terribile föhn, che sembra uscito da qualche dimenticato orcio di Pandora privo di speranza, quest'ignoranza ancestrale ricorderebbe un po' le ombre solitarie sulle pareti assolate de Il giorno del giudizio di Salvatore Satta, almeno per quanto riguarda i personaggi di contorno. La tecnica narrativa è naturalmente del tutto diversa e la storia, per certi aspetti oleografica, prende strade inattese proprio sotto la penna della sua autore, che si avvale anche di una certa formularità epica e di un suo speciale fascino affabulatorio.
Intanto Robert Schneider mantiene sul suo romanzo un potere stregonesco. L'autore non cede mai la parola a eventuali coincidenze: padrone del tempo e dello spazio del romanzo, anticipa ciò che sta per accadere, come se tutto dovesse avvenire secondo una precisa scaletta che finisce con il conferire particolare significato a singoli episodi che altrimenti apparirebbero slegati dal contesto. Schneider vuole gestire le emozioni del suo lettore, se il caso anche azzerarle, conquistando una sempre maggiore confidenza unilaterale con lui. Il risultato è quello di una penna invadente, in certi passi capace anche di irritare: Le voci del mondo non è una favola per bambini, chi legge vuol essere lasciato al suo spazio, tanto più che si toccano temi delicatissimi come il senso di appartenenza e l'amore.
E poi la morte. Il titolo tedesco (tradotto letteralmente "fratello del sonno") vi fa esplicito riferimento. Ma la morte è una specie di mannaia, una cesura tra il vivere con gli altri e il non esserci più. L'omosessualità neanche troppo latente di Peter e l'amore disperato di Elias per la cugina tagliano fuori i due giovani dalla storia comune, dall'ingenuità che è richiesta per vivere e morire. La ferocia dell'uno nei confronti degli altri e degli animali e il genio musicale istintivo e incendiario dell'altro - incapace di leggere o scrivere una sola nota musicale - non hanno possibilità di essere riconosciuti, di trovare posto nella vita. E forse neanche nella loro storia.
Proprio qui si ha la maggiore sorpresa rispetto a questa penna onnipotente: l'autore - che nel suo distacco tutto vuole gestire in termini di tempi e spazi narrativi e di emozioni - rimane dubbioso, un passo indietro rispetto alla volontà, alle scelte dei suoi personaggi e rinuncia perfino al dialogo con loro. L'impressione è che la sorgente di questa forza preceda lo sfondo bucolico in cui il genio individuale agisce. Poi la cornice alpina serve ad accendere la miccia di questa speciale forma di follia. Dissacrante, mistico e tragico, Le voci del mondo di Robert Schneider è un romanzo intenso, ma a tratti freddo, glaciale, che disturba diversi luoghi comuni. Nell'edizione italiana per Einaudi, l'incontro non proprio immediato con questo breve romanzo (181 pagine) viene agevolato da un'ottima traduzione italiana e dall'ottima nota finale di Flavio Cuniberto, che non va ignorata, perché racconta la storia della ricezione di Le voci del mondo e propone una lettura personale e condivisibile di questo primo romanzo di Robert Schneider.
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