Cosí Robertino prese scanzonato per i campi didietro la fattoria, e se ne andò saltabeccando lontano lungo il canale. Quando si fu stancato scelse un posto all’ombra sotto un albero frondoso e prese a pisolare, con un calcagno appollaiato sul ginocchio. Quando fu stanco anche di quello, si stiracchiò per bene e si mise in cerca di un divertimento. Di lí a poco trovò in mezzo agli arbusti un bel topo di campagna, grosso e rotondo come un covone di grano, che lo guardava pietoso di sotto in sú, senza muovere un baffo.
«Oh bella,» fece Robertino al topo «sei tanto grasso, topolino, che ti mancan le forze persino per muoverti». E poiché il topo di campagna non volle rispondergli nulla, Robertino decise di prenderlo a due dita per la coda e dondolarlo a testa in giú, che si prendesse un po’ d’aria. Quello fece fare, e Robertino presto si annoiò. Disse al topo: «Topolino, tanto non ti muovi che mi pari morto». Ma quello non rispose. «Allora,» disse Robertino «morto per morto, ti ammazzerò io», e cosí dicendo scelse una grossa pietra lungo il canneto e, caricatosi il grosso topo dietro la schiena, lo fece cocciare contro la pietra, rompendogli tutt’e quattro le zampe, davanti e didietro. Allora Robertino se lo caricò di nuovo sulla schiena, davanti alla pietra, e giú di nuovo glielo fece cocciare contro, tanto che questa volta la testolina del topo di campagna si aprí come una noce, mostrando per di fuori quel che c’era dentro. Ma il topo ancora non pareva morto a Robertino. Cosí lo colpí una volta ancora, questa volta con maggior decisione, e poi, non soddisfatto, calcolò bene la mira e gli diresse una pestata ben precisa sul muso, in modo d’esser poi sicuro. Macché! Ancora lí se ne stava, con la pancia che gli borbottava, tutta in subbuglio. Robertino rise indispettito. C’era da credere che quella creaturina avesse in corpo un’animetta tutta agitata, che non trovasse donde uscirsene di fuori. Allora si disse: «Pazienza!» e riprese a schiacciare il corpicino del topo contro la pietra «Prima o poi dovrà crepare». Ma la pancia pareva farlo apposta: come lui colpiva, lei piú ancora si divincolava. Quando alla fine non poté piú resistere ai colpi e gli si aprí fra le mani, ne uscirono quattro piccole creature animate, rosee e sfuggenti come ciliegine. Robertino allora rimise le quattro creature di dove eran venute, infilandole a una a una con la punta del dito, prese a due mani la grossa pietra e mirò con un occhio strizzato.
Quando la risollevò il topo di campagna se ne stava ancora lí, senza che muovesse un solo baffo. Robertino pensò: «In fondo doveva esser morto ancora prima», e se ne andò lungo il canale, di ritorno verso la fattoria.
Emiliano Garonzi