Questa è un’ analisi fatta per l’ esame di Storia della Moda e del Costume sulla mostra di Roberto Capucci a Gorizia (FVG) nel 2004. Si tratta di una breve biografia seguita da un’ intervista fatta alla curatrice del museo, Raffaella Sgubin e a una delle guide turistiche, Giulia Visintin. L’ analisi sottolinea tutte le motivazioni per le quali è stata fatta la mostra e soprattutto è molto incentrata sul lavoro del Maestro, che da mezzo secolo incanta tutti i più importanti musei del mondo.
Niente è impossibile. E’ ciò che sicuramente ha pensato Capucci mentre realizzava il Modello 10 gonne, di un rosso fiammante, nel 1956. Una nuova dimensione della moda, dell’ eleganza della quale egli è creatore, della femminilità che lui fa sprigionare da modelli unici e al limite dell’ architettonico.Capucci è un’ artista, un sarto, uno stilista, è tutto ciò che una persona può essere per creare opere d’ arte che tolgono il fiato, che tentano superbe chi le guarda per essere toccate con mano in modo da rendersi conto se ciò che si guarda è un sogno o la vera realtà. Capucci è unico, inimitabile e degno dell’ Oscar della Moda che vinse nel 1958 grazie alla rivoluzionaria linea a scatola, che fu l’ inizio di una serie di abiti improntati sulla più pura geometria. Niente trine, fronzoli, pizzi, ma solo una linea pulita ed essenziale, lontana dagli abiti romantici di Dior che esaltano la figura femminile. Capucci fa il lavoro contrario: “un volume astratto, quattro facce che annegano il corpo, che l’ annullano, e, per assicurare ulteriormente la pulizia del disegno, per sottrarsi ad ogni tentazione di leziosaggine: le cuciture rivoltate, l’ interno che viene all’ esterno, la fattura dell’ abito -il rovescio dell’ illusione- che, divenendo visibile, trionfa” (P. Mauriès, L’ ultimo dei sarti felici, in P. Mauriès, Roberto Capucci, Franco Maria Ricci, Milano, 1993, p.46).La moda degli anni Sessanta è agli inizi con la sua linea pulita e geometrizzata, futuristica. Per Capucci, questo rigore è dettato da un esercizio di stile e di pulizia, di essenzialità e di purezza che si riscontra negli anni successivi, quando il modello a Scatola verrà riproposto lungo il percorso creativo del Maestro, parallelo a quello che studierà la fluidità della linea continua.Nel fervore degli anni Sessanta, Capucci apre il primo atelier a Parigi con un notevole aumento della mole di lavoro e degli appuntamenti. L’ esperienza ha una durata di soli sei anni perchè, a causa di problemi familiari, è costretto a tornare a Roma, dove fino al 1980 sfila nell’ ambito della Camera della Moda italiana. Il ritorno a Roma segna, però, il suo successo e anche il suo ritiro progressivo dalle luci della ribalta, da un mondo conformista in cui non si rispecchia in quanto non incline a qualsiasi condizionamento. Nel 1968 ha un memorabile incontro con Pier Paolo Pasolini che gli chiede di realizzare gli abiti per il film Teorema.Sono degli anni Settanta gli abiti più originali nei quali il crepe georgette viene usato in molteplici modi soprattutto con materiali alternativi, che nessuno aveva mai abbinato a un abito. Così Capucci crea contrapposizioni tra materiali leggerissimi, morbidi e impalpabili e materiali di ben altra pesantezza come sassi, bambù o paglia intrecciata, in modo tale da essere, ancora una volta, l’ unico sarto con inventiva, fantasia e coraggio di osare tecniche fuori dal comune, soprattutto in un decennio difficile per gli scontri sociali e politici e per la protesta femminista. Capucci risponde allontanandosi sempre di più dalle istituzioni della moda (allontanamento che culminerà nel 1980, con la decisione di realizzare un’ unica collezione all’ anno) e creando abiti dalle linee morbide con materiali semplici e naturali.Modello 10 gonne, 1956Oceano, 1998Via via che si prosegue nel percorso creativo del Maestro, si può vedere una progressiva spettacolarità degli abiti, ben lontani dal contesto culturale degli anni in cui lavora, una ricercatezza sempre maggiore di tessuti, colori, abbinamenti cromatici più arditi. Non a caso, negli anni Ottanta esplode il plissè, che Capucci adopera in maniera superba per ogni abito che crea, usando come materiale d’ onore il taffetas. Citando il regista Giulio Macchi: “Capucci, pur usando ago e filo, tratta la seta come metallo, la modella come fosse stagno, la fonde come bronzo” (G. Bauzano, La metamorfosi della forma, in G. Bauzzano, F. Sozzani, Roberto Capucci. Lo stupore della forma, catalogo della mostra di Biumo, Skira editore, Milano, 2003, p.22). Un abito che è, se vogliamo, uno dei marchi di Capucci è il Fuoco del 1985, nel quale 14 toni di rosso avvolgono la stoffa plissettata in una crescita inesorabile verso il corpetto, avvolgendolo ma senza bruciarlo, circondandolo come per innalzarlo, dando la sensazione di volersi espandere nello spazio che lo circonda.Dagli anni Novanta, Capucci espone le sue creazioni con una serie di mostre personali nelle più prestigiose location del mondo. Per l’ occasione crea dodici abiti-scultura ispirati ai minerali, da sempre presenti nel suo processo creativo vista la quasi ossessione per le linee geometriche pure. Il culmine di questo legame con la natura è Oceano del 1998, un meraviglioso abito fatto di milleduecento frammenti di taffetas plissettato in trentotto tonalità di colori marini.AnalisiDopo questa breve e concisa biografia, si andrà ora ad analizzare una mostra di Roberto Capucci fatta a Gorizia nel 2004 con un’ intervista alla curatrice del museo Raffaella Sgubin e a una delle guide turistiche, Giulia Visintin.Signora Sgubin, in quale contesto/manifestazione o ricorrenza è stata organizzata la mostra? La mostra di Capucci non è legata ad alcuna ricorrenza particolare. Nasce però da una volontà forte, quella di tributare un omaggio ad un artista molto speciale, le cui opere hanno uno straordinario impatto scenografico. L’idea della mostra si lega quindi strettamente a quella della sede in cui realizzare l’evento: il settecentesco palazzo Attems Petzenstein, sede principale dei Musei Provinciali di Gorizia. Si tratta di una “reggia in miniatura”, un guscio molto bello ma quasi vuoto, che aveva bisogno di ritrovare i suoi fasti e la sua magia. Da qui l’incontro di un artista con uno spazio. Un incontro pieno di stimoli e di suggestioni.Perché sono state scelte quelle locations? Le ha scelte lei? Se si, con quale criterio? Come ha scelto di disporre gli abiti? Ha seguito delle indicazioni dello stilista o ha agito secondo la sua personale esperienza? La scelta delle sedi (Palazzo Attems Petzenstein per le opere tessili e Borgo Castello per la parte grafica) è stata in qualche modo obbligata perché coincide con le due sedi espositive dei Musei Provinciali di Gorizia, in cui sono Sovrintendente. Tuttavia, non appena il Maestro ha varcato la soglia del Palazzo, io ho fatto un passo indietro. Lui si è dimostrato subito molto ispirato dallo spazio, dalla bellezza delle sale e del giardino, dalla cura che vi si respirava. E ha subito cominciato a immaginarsi quali abiti potevano collocarsi in una sala piuttosto che in un’altra. Nella visita era accompagnato dal nipote e Direttore della Fondazione Roberto Capucci, Enrico Minio Capucci e quindi tra di loro si è instaurato uno stretto scambio di idee su come “vestire” gli spazi. L’unica indicazione che io ho fornito era che, a mio parere, si rendeva necessaria una parte storica introduttiva, con le creazioni più significative dagli anni Cinquanta ai Settanta. Capucci si è dimostrato un po’ stupito di questa mia richiesta, ma mi ha accontentato volentieri. Credo che, diversamente, lui avrebbe impostato l’intera esposizione sugli abiti-scultura, dagli anni Ottanta in poi. Per me, però, era importante ricostruire un percorso, l’iter che ha portato il Maestro già da giovanissimo a osare forme nuove e sperimentare materiali insoliti e accostamenti arditi. E in effetti non si potrebbe capire l’esuberanza delle forme che è cifra distintiva di Capucci, senza aver presente gli esercizi di stile del modello Nove gonne (o Dieci gonne che dir si voglia) nato dall’osservazione dei cerchi provocati da un sasso in uno specchio d’acqua. Ecco, anche l’osservazione della Natura… C’è già tutto negli anni Cinquanta, agli esordi… C’era uno schema ricorrente nella disposizione oppure ogni location aveva una sua storia, una sua logica dettata dai periodi lavorativi/creativi dello stilista? Ogni ambientazione era storia a sé: al piano terra da un lato gli abiti “storici” e la serie dei “corti”, dall’altro la serie degli abiti-scultura della Biennale; al primo piano i “lunghi” importanti, con un impatto spettacolare nel salone centrale con il gigantesco podio bianco disegnato dall’arch. Chiara Lamonarca sovrastato da una trentina di opere, e poi una continua scoperta, sala per sala, per poi trovare il fulcro finale nella sala dedicata a Oceano, su basamento rotante per potere ammirare appieno la bellezza dell’opera. Va detto che Oceano era allestito in una saletta splendida, con al soffitto i bassorilievi settecenteschi in stucco dedicati alle Metamorfosi di Ovidio e alle pareti Capricci tardo settecenteschi di grande suggestione. Che lei sappia, la disposizione degli abiti era la stessa anche in altre città dove ci fu la mostra?
La disposizione degli abiti non è mai la stessa. E’ sempre un “su misura”! Signora Visintin, in cosa consisteva il suo compito all’ interno della mostra? Mi occupavo dell’accoglienza dei visitatori, emettendo il biglietto d’ingresso, fornendo loro le indicazioni sul percorso di visita o sulla città (quando richiesto), curando il bookshop del Museo (soprattutto la vendita del catalogo della mostra) e sorvegliando le sale dell’ esposizione. Inoltre mi occupavo anche delle visite guidate, prenotate da gruppi più o meno numerosi nel corso della settimana, gratuite invece il sabato pomeriggio e la domenica mattina. Erano previsti anche dei laboratori didattici per i bambini delle scuole di ogni ordine e grado. Si ricorda com’ era studiata la mappa sulla disposizione degli abiti? Gli abiti erano disposti all’interno delle sale di Palazzo Attems in ordine cronologico al piano terra (le salette a sinistra dell’ ingresso con creazioni optical, abiti con materiali plastici, abiti da cocktail; le sale a destra dell’ingresso con gli abiti scultura per la Biennale di Venezia), mentre al piano superiore spiccava il grande salone centrale in cui era stata allestita una gradinata che ospitava una trentina d’abiti realizzati con varie tecniche e colori, nelle altre stanze invece gli abiti erano stati disposti seguendo un criterio cromatico (in particolare l’attenzione del visitatore era attirata dalla sala dei rossi, con l’abito Fuoco o il modello Dieci Gonne; e dalla sala degli affreschi in cui era esposto l’abito-scultura Oceano realizzato per l’Expo di Lisbona del 1998). In una sala a pianoterra era possibile visionare un video su Roberto Capucci. A Borgo Castello invece, sede del Museo della Moda, era collocata la parte grafica della mostra, con una cinquantina di tavole e una serie di quaderni di schizzi. Durante la guida, aveva uno schema da seguire sulla presentazione degli abiti? L’allestimento così curato offriva già di per sé uno schema ben predefinito per la presentazione degli abiti. Normalmente iniziavo con una breve spiegazione sulla storia del palazzo e sulla scelta di ospitare questa particolare esposizione. Nelle sale al piano terra fornivo le indicazioni cronologiche sull’autore e sulle sue prime opere che erano ormai entrate a pieno diritto nella storia della moda. Al piano superiore soprattutto selezionavo alcuni abiti che spiccavano maggiormente tra quelli esposti o per importanza storica o per particolarità del manufatto. La visita guidata durava all’incirca un’ora, anche se alle volte “si sforava” soprattutto per le domande dei visitatori. Che tipologia di visitatori attirava una mostra di questa entità? Questa esposizione è stata visitata soprattutto da donne, alle volte si vedevano riunite intere generazioni (nonne, mamme e nipotine), molto spesso erano delle sarte esperte. Il confronto continuo con i visitatori mi ha permesso di apportare nuovi contributi alle visite guidate, che nel corso della durata della mostra (tre mesi) si sono sempre più arricchite di nuove nozioni e/o particolari che di volta in volta notavo nelle opere esposte. La difficoltà maggiore era quella di tenere a freno la curiosità dei visitatori che alle volte li spingeva a superare i trespoli a pavimento su cui erano sistemate le didascalie per poter osservare da vicino o il retro degli abiti. Modello Siderite, 1995
Queste due interviste aiutano sicuramente a capire la maestosità dell’ evento e la cura nell’ organizzarlo al meglio, per celebrare un grande nome della moda.
Ma cosa c’è dietro agli abiti-scultura, ai materiali alternativi e alle unioni cromatiche d’ effetto? Scrive lo stesso Capucci nel catalogo della mostra, Roberto Capucci: arte e creatività oltre i confini della moda: “Per descrivere da un punto di vista tecnico il mio modo di procedere [...] io seguo il metodo classico: i primi schizzi diventano poi ottocento-mille disegni in bianco e nero, senza inizialmente pensare al colore per non esserne influenzato. Lo stimolo del colore è visivo e si compone con il disegno dopo che è avvenuta la selezione dei cento-centocinquanta pezzi da realizzare e corrisponde al momento della scelta dei tessuti [...] Le geometrie dei volumi e le volute delle forme sono esasperate e rielaborate, nelle pieghe e negli sfondi, nei cerchi e nei movimenti; con l’ intervento del colore posso evidenziare un’ ombra [...]” Un lavoro quindi metodico e soprattutto solitario. Capucci lavora da solo sui suoi disegni, lavora per ore e ore, anche giorni, per poi presentare i suoi bozzetti a tutte le figure che lo aiutano, come sarte e ricamatrici. E’ d’ obbligo, quindi, presentare tanto lavoro al pubblico in modo che possa apprezzare, ammirare e, magari da giovani e promettenti designer, invidiare tanta creatività innata.Nella mostra di Palazzo Attems erano esposti 110 abiti risalenti al primo periodo lavorativo degli anni Cinquanta, con il modello Dieci Gonne, svariati abiti da cocktail chiamati Sovrapposizioni, i famosi modelli a Scatola, risalenti agli ultimi anni del 1950, successivamente si trovavano tutti gli abiti stile Optical degli anni Sessanta, particolareggiati da nastri di seta nera e bianca intrecciati a telaio, i particolari abiti Plastica e un’ altra variazione dell’ abito Scatola del 1969. La sezione degli anni Settanta presentava unicamente gli abiti Sassi, Bambù e Paglia, mentre la sezione degli anni Ottanta iniziava con un altro abito in paglia intrecciata per passare a creazioni costruite più geometricamente, come gli abiti Ventaglio, Angelo, Angelo Guerriero e Maschera, abiti da sera in tessuto mikado e le creazioni molto particolari chiamate Cinema: semplici tubini neri con una striscia che vi serpeggia attorno riprendendo la pellicola cinematografica. In questa sezione iniziava il tripudio del plissè con l’ abito Farfallone del 1985, Angelo d’ Oro e Fuoco e lo studio della linea continua, con il modello Archi, l’ ispirazione da opere pittoriche come l’ abito Mondrian, per finire con le due opere Creta del 1989. La sezione anni Novanta si apriva con dei modelli molto sobri rispetto a quelli delle sezioni precedenti: abiti da cocktail comunque geometrizzati e simmetrici per passare al meraviglioso abito da sposa Tiepolo del 1992 ispirato ad un affresco dell’ omonimo artista, La continenza di Scipione, e abiti plissettati dagli accostamenti cromatici particolari e di grande impatto visivo. Si proseguiva con la bellissima giacca Marsina, che fa da copertina proprio al catalogo, e con gli abiti da sera Pagoda, entrambi con plissettatura e scala cromatica dalle tonalità fredde in uno e calde nell’ altro. Degli anni Novanta erano poi i dodici abiti-scultura ispirati ai minerali, del 1995: Violano, Lapislazzuli, Antimonite, Allanite, Siderite, Cinabro, Fluorite, Ossidiana, Diaspro, Sagenite, Ematite e Pirite, per terminare nella suggestiva sala dedicata ad Oceano. Nella sezione degli anni Duemila veniva esposto l’ abito-scultura Giorgini, creato per celebrare i 50 anni della moda italiana, fatto in velluto azzurro, mikado, taffetas shantung e sauvage con ben 84 colori accostati armonicamente, un po’ per simboleggiare la varietà della moda italiana. L’ abito è dedicato al marchese Giovan Battista Giorgini, artefice della nascita della moda italiana che aveva preso Capucci sotto la sua ala protettiva, permettendo il suo ingresso nel mondo della moda.A Borgo Castello, invece, all’ interno del Museo della Moda, erano presentati 60 disegni che mostravano un lato non molto conosciuto del Maestro.Questi disegni, da lui definiti “disegni veri” e “disegni puri”, sono veri e propri disegni progettuali accompagnati occasionalmente da campioni di tessuto, appuntati sugli abiti prescelti, e disegni mai realizzati tridimensionalmente. C’erano poi schizzi completi creati successivamente alla realizzazione del vestito. Sicuramente un’ idea azzeccata quella di suddividere cronologicamente la mostra con una parte introduttiva dagli anni Cinquanta ai Settanta: il visitatore aveva subito un’ idea ben definita di ciò che è stata la lunga carriera del Maestro, veniva accompagnato nelle sale che contenevano mezzo secolo di opere, come se si sentisse partecipe in tutto il lavoro di creazione e comprendeva perfettamente il percorso di maturazione, lo studio della linea e della purezza delle forme, il legame con la natura e con l’ arte che si ritrova in ogni abito.Gorizia è una delle poche città italiane ad avere un Museo della Moda e delle Arti Applicate. Situato a Borgo Castello nelle case cinquecentesche Dornberg e Tasso, ospita delle mostre permanenti sulla Grande Guerra, in cui si possono osservare le uniformi e delle simulazioni di vita in trincea, sulla moda dal Settecento al Novecento con particolare attenzione ai complementi d’ abbigliamento, sulla produzione e lavorazione della seta con una bellissima collezione di telai in legno e abiti medievali. Il vantaggio di avere un Museo della Moda apre molte possibilità di studio da parte degli studenti delle scuole medie inferiori, degli studenti dell’ Istituto d’ Arte della città e anche degli studenti delle Accademie di Moda. Un evento come la mostra di Roberto Capucci ha portato molti riconoscimenti alla Città di Gorizia, che ha saputo dare ampio spazio a un artista che ha colorato le vie cittadine con le sue creazioni fantastiche, originali, inimitabili e sicuramente fuori dal tempo.