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Roberto La Forgia e il Signore dei colori: intervista all’autore

Creato il 06 giugno 2012 da Lospaziobianco.it @lospaziobianco

Roberto La Forgia e il Signore dei colori: intervista all’autore> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="300" width="211" alt="Roberto La Forgia e il Signore dei colori: intervista allautore >> LoSpazioBianco" class="alignleft size-medium wp-image-52669" /> Ricordo di aver letto le tue prime cose su Black alcuni anni fa. Eri giovane. Quando e come hai iniziato la tua attività di fumettista?
Ho cominciato a fare fumetti fin da piccolo. Fin dalle scuole elementari. Facevo una specie di rivista con mio fratello (Pasquale, anche lui illustratore, qui il suo blog.) e con . Ma eravamo praticamente bambini.
Avevamo molte letture che ci stimolavano.
C’era il gruppo di Frigidaire, per esempio, e i grandi maestri come , Jose Munoz, Dino Battaglia.

Il fumetto d’avventura come mostri ne Il signore dei colori citano Diabolik e Mister NO?
In realtà non sono cresciuto con quei fumetti. Mister No è una lettura di qualche anno fa. Diabolik non mi ha mai affascinato.

Citarli è quindi un modo per rinforzare il contesto popolare della storia, forse?
Assolutamente sì. Non mi interessa mettere in una storia le cose che mi piacciono ma quelle che entrano in sintonia col tutto. Sarebbe stato un po’ assurdo se un rivenditore di fumetti usati di un piccolo paese del sud mostrasse Pazienza a un bambino di sette anni.

Certo. Quindi tu lo leggevi precocemente. Ricordo che le prime cose su Black erano già abbastanza mature e ragionate per il tratto.

Roberto La Forgia e il Signore dei colori: intervista all’autore> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="217" width="213" alt="Roberto La Forgia e il Signore dei colori: intervista allautore >> LoSpazioBianco" class="alignright wp-image-52711" />Hai fatto studi artistici?
Più o meno. Ho fatto il liceo artistico a Bari e l’accademia a Venezia (mai conclusa) ma lì non ho mai avuto modo di coltivare il mio interesse per il fumetto. Si faceva tutt’altro. Disegno dal vero, nature morte e poi in Accademia un sacco di idiozie.

E invece quali sono i tuoi riferimenti per il fumetto? Ci vedo una buona assimilazione di artisti del passato, addirittura anni 40 o 60…
Forse più nel disegno. Le mie prime forti influenze, tra quelle che sono rimaste, sono quelle di Mattioli e Gianni De Luca. Del primo mi ha sempre travolto il senso del ritmo e della rapidità della lettura (come se non gli importasse molto di farti vedere i disegni) e di De Luca, la sua concezione totalmente libera del fumetto. Mi riferisco in particolare allo Shakespeare adattato da lui. O anche a Toppi, Crepax, Igort. Mi piacciono gli autori che piegano il linguaggio alle loro esigenze.
Le assonanze con autori del passato, soprattutto nel disegno, ci sono certamente ma sono in qualche modo funzionali. Entrano in gioco dopo l’aspetto che più mi interessa ovvero la costruzione della tavola e l’utilizzo di tutte le parti come unità narrative. Niente di nuovo, è l’insegnamento dei grandi maestri italiani.

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Parlando così di ritmo mi fai subito pensare a Il signore dei colori, dove il ritmo è ben piegato alle tue esigenze narrative, con una lenta cadenza molto libera e quasi più cinematografica e fotografica che fumettistica.
Prima di scrivere la storia ho lavorato sui personaggi (lavoro che si è comunque protratto lungo tutta la scrittura). Alcuni di questi personaggi li avevo già abbozzati in altre storie ma non li conoscevo ancora abbastanza. Così ho preso a fare una sorta di identikit e a scrivere o anche solo a pensare a scene e momenti della loro vita, dalle esperienze che li hanno cambiati alle piccole cose di tutti i giorni. Questo lavoro mi ha permesso di fare dei miei personaggi delle persone. Spesso, durante la scrittura dei dialoghi, è stato come se i personaggi facessero tutto da soli e improvvisassero le loro battute. In questi momenti mi sono sentito il loro regista.

Sì, sembrano osservati da una certa distanza. E sembra che ci sia una buona dose di invenzione ma anche di ricordi. Penso alla sequenza dove uno dei bambini parla con una bambina di dimensioni del pene…

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Quella distanza di cui dici è tutta per il lettore. In realtà sono molto vicino ai miei personaggi e mi confondo con loro. Ma il lettore non conosce né me né i miei personaggi, quindi ho fatto di tutto per tirarmi fuori e raccontare le cose con l’unico obiettivo di farle capire a chi vuole addentrarcisi.

Sì, infatti mi riferisco a distanza fisica che si rivela funzionale a dare un ritmo che permette invece l’immedesimarsi, perché il lettore non ha un ritmo imposto e può perdersi in un flusso di pensieri proprio e parallelo.
Questo è il bello e al tempo stesso è la mia croce. Nel cinema c’è un ritmo preciso da seguire, il film comincia alle ore x e termina alle ore y. Nel fumetto invece il tempo di lettura cambia da lettore a lettore. E’ un aspetto affascinante, volendo, ma il mio obiettivo è proprio quello di superare questo limite e “imporre” al lettore un tempo e un ritmo di lettura che sono io a stabilire (senza farmene accorgere) attrarverso la disposizione delle vignette e la loro distanza, il suono dei dialoghi, lo spessore dei bordi e tutto il resto.

Le tue inquadrature ampie credo creino un buon compromesso tra le due cose. Come nasce e si sviluppa l’idea del racconto?

Roberto La Forgia e il Signore dei colori: intervista all’autore> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" />> LoSpazioBianco" height="318" width="218" alt="Roberto La Forgia e il Signore dei colori: intervista allautore >> LoSpazioBianco" class="alignleft wp-image-52671" />Individuo una buona dose di nostalgia e ricordi, ma i livelli di lettura sono più di uno.
Prima di scrivere il signore dei colori stavo abbozzando storyboard di storie ispirate ai ricordi d’infanzia. Nessuna concentrata su aspetti particolarmente spinosi. Nel frattempo mi sono guardato intorno e mi sono lasciato colpire da due cose.
La prima, la completa assenza di bambini per strada. Forse la nostra generazione è stata l’ultima a conoscere la cultura del gioco per strada.

Vero. Ci ho riflettuto leggendo il libro.
E la seconda, il modo in cui i media raccontano quest’età. Se fai caso, si parla di bambini solo in quanto vittime di qualcosa, di un’aggressione, di un abuso. E la cosa mi ha colpito, perché limita fortemente il potenziale ruolo sociale di questa fascia d’età. Allora l’ho sentita un po’ come una responsabilità, quella di prendere il toro per le corna e trattare lo stesso argomento trattato (spesso con i toni sbagliati) dai media.

Sì, ribaltando un po’ il concetto.
Esatto.

Perché tu non lo dici, ma il presunto mostro è evidentemente invece un eroe.
Sì, forse eroe è esagerato ma certamente non è un personaggio completamente negativo (non esistono persone completamente cattive, non esistono i mostri). Ho voluto mettere in scena quello che a qualcuno potrebbe sembrare un paradosso: la violazione sul piano sessuale e l’intesa sul piano emotivo tra due persone di età diversa, un adulto e un bambino.

Quindi secondo te è “colpevole”? Avevo creduto di no…
Non possiamo sintetizzare con un giudizio. Per questo ho fatto un libro. Tutti i personaggi della mia storia hanno delle responsabilità. Il venditore di fumetti è l’unico adulto a offrire a Paolo quello che cerca: la speranza di vedere le cose sono una luce più affascinante, diversa da quella della sua vita di tutti i giorni offuscata da una madre in qualche modo assente, inoltre è l’unico a dargli quell’affetto che gli manca.
E’ proprio questa sintonia tra i due a rendere controverso il loro rapporto. Non è la storia di un abuso calcolato e frontale. Qui entra in gioco anche una reale affinità tra i due personaggi.

Si percepisce, per quello non ho pensato alla “colpevolezza”.
Infatti. Sarebbe una visione, per quanto comprensibile, anche pericolosa, perché generalmente si sfocia con facilità verso la mostrificazione. E la mostrificazione fa più male alle vittime che agli aggressori. Immagina di dover elaborare l’idea di essere stato aggredito da un “mostro”.

Quella conclusione veloce è funzionale immagino?
E’ la rapidità della stupidità.

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In generale ho visto una certa attenzione sottile al tema dell’emarginazione, è così?

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Paolo non è un bambino in cerca di soluzioni. Non ha amici della sua età, ma si è trovato due amici più grandi di lui a cui si abbandona ciecamente. Non ha il padre e gli manca una figura materna forte quindi cerca affetto in un signore che vende fumetti sotto casa. È una figura molto reattiva.

Tu sei nato in quelle zone, ma forse ti ho già domandato cosa c’è di personale nel libro…
L’ambientazione e il contesto sono gli stessi che ho vissuto tra l’infanzia e l’adolescenza ma Il signore dei colori è una storia inventata.

All’uscita del libro hai iniziato una buona attività di promozione in giro per l’Italia. Quali sono le prossime date?
Sarà un giugno denso. Nei prossimi giorni farò un giro in Veneto. Il primo giugno a Portogruaro, poi a Vittorio Veneto e a Treviso. Tornerò anche a Bari e forse anche nei paesi intorno, dove ho ambientato la mia storia. Poi a Roma, a Pescia e infine a farò un secondo incontro a Torino dopo quello della settimana scorsa. Ho in ballo ancora delle date da fissare in altre città.
Qui a questa pagina del mio blog, il calendario che aggiorno tutte le volte che spunta qualcosa di nuovo.

 

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