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Roberto Roversi (28 gennaio 1923 – 14 settembre 2012)

Creato il 16 settembre 2012 da Marvigar4

Untitled 1

Da L’ITALIA SEPOLTA SOTTO LA NEVE
(Parte terza, vv. 2516-2622)

. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Attenti a parlare ascoltare anche a cantare ma io
chiamato in caverna dalla pazienza vecchia del mondo…
La terra è una vacca ubriaca di sale di miele
si completa si squarcia si evolve
ascolta crocchiare i cannoni le foglie d’autunno sui rami
contempla il danno si adegua alla gravità dell’evento
difende l’ultimo fuoco l’ultimo ghiaccio l’ultimo grido
d’amore.
Ma io non ero ancora nato io e
il linguaggio correva via con le gambe di vetro
gridavo al topo: dove sei? Aspettami! Diventa un re!
non ripartite al segno della piccola luna
lasciando me nell’ombra di una terra immortale.
Tutto l’inverno ho navigato nello spazio
è venuta primavera piena di selve
continuo il mio viaggio sulla nave che
dalla luce conduce alla luce
dalla luce come una piuma mi scarica alla notte
sono un vagone disperso in una stazione di frontiera in
Patagonia ma
non posso lamentarmi perché sono solo – ero
nello spazio che non ha voce
e tacevo
percosso dal peregrinare degli astri coi piedi di velluto e
il loro percorso di guerra è vicino alla schiena di dio fra
nuvole irate.
Ascoltate! Ascoltiamo. Il loro tamburo. Combattete
gentiluomini di Russia questa ultima battaglia
meglio morire sul campo che andare erranti incalzando
una gloria
che la vita rende arlecchina. Ascoltate!
Sproniamo i cavalli del cielo cavalchiamo nel sangue.
Ascoltate! Cavalchiamo cavalchiamo nel sangue
la paura del cielo che strappa manciate di stelle
oscura la voce un abbraccio di gelido fuoco poi silenzio
e silenzio
solitudine antica – la terra è nel vento di foglie strappate
una morte è in corso
le onde uguali si sciolgono gridando vendetta.
Forse è la morte annunciata del nostro pianeta?
Morire da straniero come
i profughi sulle barche vaganti fra tormenti e l’arsura?
Non un mondo di eguali tracotanti ma
uomini e donne uomini e donne diversi e l’albero
della libertà sferzato da gelate non vinto
nella battaglia.
Tornerò. Io ritorno attraverso il cuore della mia terra natale
tocco il cielo coi miei capelli seduto
ho i piedi sopra la testa del mondo
penso alle piccole cose risparmio le ore
oltre l’oceano sento il respiro di un amico che dorme.
Coraggio, la festa dell’uomo è in arrivo
l’orma dei piedi è sospesa sopra i millenni.
Sono stimolato, egli dice, dall’attesa di una voce
tracce d’oro sulla sabbia di un fiume che corre nel cielo
immergo le mani nel cuore della terra profonda
essa perduta in un cammino senza tramonto
si quieta nella tempesta
punisce le città acquattate come cinghiali nel bosco
come ragazze caute esaltate fra la polvere della memoria.
Una luce impaziente
si presenta suona alla porta nel primo verde del giorno
si guarda intorno annuncia il destino di un uomo
assassinato nel buio.
Domando se ancora pioveva
la notte in cui re Teodorico è stato sepolto
nel fiume Busento e se la notte pioveva campane o spavento
poi ho raggiunto l’America
l’America che è sempre lontana. Così i giorni scadono via
uguali
e albe uguali e tramonti veloci
le erbe scoppiano al morso di un insetto
gorghi d’acqua fremono nella gola degli uccelli sui rami
nere piume straziano nubi conficcate nell’aria
osservano i fiumi bruciare e le rive deserte
chiamare chiamare. Ah! le
canzoni di Dalla un tempo s’alzavano dai prati
come trottole lanciate dai bambini.
Orsi risalire montagne
l’odore del pelo bagnato di neve e di miele
ombre di pellegrini con fiaccole
sui sentieri dei boschi
fra ossa di animali uccisi dal gelo impietoso
anche la natura è caduta prigioniera del sonno
nessuna primavera rasserena la voce delle fiabe
fra i tizzoni fradici d’inverno.
La natura del sonno sfugge dunque a se stessa
come belva si rintana dentro caverne.
Ancora. Gemme del cielo invernale nel cielo invernale
spunta la primavera italiana errabonda
insiste gemma invernale insiste insiste la
primavera non solo italiana e gli applausi
volo d’ombre trapassate trafitte
dalla freccia di Diana volante urlante cantante. Altro non
vedo.
Non so altro. Brilla di magnitudine
1,6 Bellatrix (gamma Ori) un gigante blu
distante 360 a.l. lo tocco con la mano sinistra e
brucia brucia anche se è dalla parte del cuore non
mi lascia partire trattiene la corsa la nebulosa d’Orione
qua perduto in uno spazio che il mio occhio non vede
sopra le città giganti della terra
unificate da una pietà senza strazio
solo gli occhi cavati ai giovani soldati
le giovani donne sgozzate nude
solo le mani tagliate ai vecchi davanti alle case infuocate
solo frecce sul petto delle bianche bambine coperte dal
carbone mai
acceso
solo raffiche raffiche raffiche nella schiena dei ragazzini
che ridono
fra luci di carnevale e
guardando i vecchi bagnati di sangue scendere a terra
si addormentano lasciando la vita sorpresi.

Roberto Roversi



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