“Quando arriva Carlotta sono ancora sulla terrazza davanti al piccolo computer inutilmente scarico, pezzo di plastica bianco senza vita, col crepuscolo che si avvicina smorzando i toni di luce e il colore del mare e della vegetazione, ma incendiando di rosso una lunga striscia di cielo tra due masse di nuvole compatte e pesanti come muri.
-Scrivi!- dice tutta allegra Carlotta e aggiunge con compiaciuta enfasi: – E’ magnifico.” (1)
2008. Un anonimo scrittore quarantenne con un pugno di romanzi alle spalle e un paio di premi letterari all’attivo sembra arrivato al capolinea: ormai da anni non riesce a scrivere una riga. Fortunatamente, le lezioni di scrittura creativa(2) che tiene all’università e il rapporto con la ventunenne Carlotta(3) lo aiutano ad ammazzare il tempo. Sì, perché se non fosse per il lavoro, e per Carlotta – Carlotta che lo ama “fisicamente, sessualmente, appassionatamente”(4), Carlotta che ha deciso di curarlo dal blocco dello scrittore(5), e che in cambio chiede solo di poterlo esibire in società, chissà…
Ed è proprio per merito di Carlotta che, nel corso di una noiosissima festa in Costa Azzurra, il professore incontra Lea, una diciassettenne ribelle destinata a far precipitare gli eventi.
“Uno scrittore fallito, una ragazzina, la tomba di Morrison”. Così recita la copertina, e in effetti tanto basta per riassumere i tre atti del romanzo di Roberto Saporito: la prima parte è tutta dedicata allo scrittore fallito, sorta di personaggio ricorrente(6), qui diventato professore. Un personaggio inattuale (e in una certa misura fuori posto nel panorama editoriale italiano(7)), che pare abbia deciso di abbandonare la scrittura per “spassarsela” fin che può, e dedicarsi alla sola lettura(8). C’è poi la ragazzina, Lea, una diciassettenne fuori controllo, che finita la scuola lascia la città (o forse dovremmo che si dà alla fuga?) a bordo di un vecchio maggiolino guidato dall’amica Martina. E poi c’è l’epilogo, che potrebbe svolgersi proprio sulla tomba di Morrison al Père-Lachaise.
Cosa ci sia del “film francese”, in questo romanzo, è facile a cogliersi ma difficile a dirsi: forse un’atmosfera, quasi una patina di malinconia che soffonde le pagine – tutte, anche le più “allegre”- e che sembra preludere al finale, già scritto nel mal de vivre da cui i personaggi di Saporito sono affetti(9).
Il fraseggio è, come di consueto, rapido, quasi scarno; la narrazione, affidata ai due punti di vista del Professore e di Lea(10), è stringata, priva di dettagli superflui, limata all’osso: scelta rischiosa, ma l’autore non è l’ultimo arrivato, e ha imparato dagli amati minimalisti americani a mantenersi perfettamente in equilibrio tra noia e poesia, tra banalità e grazia. E, benché il romanzo sfori appena le 130 pagine, dentro c’è tutto Roberto Saporito, con il suo stile, i suoi snodi e le sue tematiche; con i suoi oggetti di culto, i suoi tic e le sue manie, elegantemente trasformate in marchi di fabbrica; tutto: dai tentativi di fuga al senso di frustrazione di chi resta (o di chi non è ancora partito); dalla scrittura come unica alternativa eticamente ed esteticamente accettabile (anche se, qui, non più praticabile) alla vita “normale”, borghese, al rapporto di amore-odio con il lusso(11); dal ricorso alla musica per caratterizzare situazioni e personaggi, alle citazioni in apertura, e così via fino agli elementi feticcio quali il Maggiolino VW e l’immancabile “puntatina” (se così si può dire, in questo caso) a Parigi. Tutto questo in un testo velocissimo, essenziale, ulteriormente movimentato da rapide (e spesso inattese) impennate, e impreziosito da molti consigli di lettura (anzi, qui veri e propri inviti alla lettura) trasmessi per bocca di uno dei protagonisti.
E il romanzo, come di consueto, funziona alla meraviglia.
Come un film francese di Roberto Saporito è edito da Del Vecchio.
(1) Roberto Saporito, Come un film francese, Del Vecchio, Bracciano 2015, p. 29.
(2)“Sono un professore. Suona strano, un professore, io. Che poi per l’esattezza non sono solo un professore, ma niente meno che un docente universitario: e questa sì che suona come una cosa strana, al limite dell’inaudito. Anche perché quello che insegno io, fino a un attimo fa, in Italia non esisteva neanche: insegno scrittura creativa.” Così, con ironia, falsa modestia e un pizzico di autocompiacimento si presenta uno dei protagonisti di questa storia.
(3) la più “affezionata” tra le diciotto studentesse che lo fanno sentire “amato, quasi idolatrato” (Ivi, p. 23).
(4)Ibid.
(5)”Carlotta vuole salvarmi, vuole che io mi rimetta a scrivere…” (Ivi, p. 27).
(6)Se il protagonista precedente romanzo, Il caso editoriale dell’anno, era uno scrittore di successo, c’è da dire che, avendo raggiunto il successo attraverso la sua opera peggiore, ed essendo anche lui giunto ad una crisi creativa, era fallito né più né meno del professore di Come un film francese.
(7)Anche se il professore del romanzo di Saporito non naviga certo nell’oro, anzi, come Hank Moody (ma fatte le dovute proporzioni: Moody guida una Porsche, mentre il nostro deve accontentarsi di una Honda Civic) se ne va in giro con una vecchia automobile scassata, e se fa la bella vita è soprattutto grazie alle attenzioni di Carlotta.
(8) “…la verità è che io sto meglio da quando non scrivo più. Molto meglio.” (Ivi, p. 27)
(9) E non solo quelli di Come un film francese; basti pensare a lavori quali Carenze di futuro o Generazione di perplessi...
(10)Il romanzo è suddiviso in tre parti tutte narrate in prima persona e al presente; se la prima e la seconda parte sono affidate rispettivamente alle voci del Professore e di Lea, la terza è costruita attraverso un’alternanza dei due punti di vista, in una sorta di montaggio alternato che già allude al ricongiungimento finale – soluzione tutt’altro che inedita, e già ampiamente provata dall’autore (per esempio in Un’educazione parigina) che trova però, nell’essenzialità di questo nuovo romanzo, la sua migliore realizzazione.
(11)Un rapporto à la Fitzgerald, verrebbe da dire, ma filtrato attraverso McInerney.