La prima volta che ci andò era a poche settimane dal maggio parigino ed un anno dopo la morte di Tenco.
Dopo quarantadue anni cede e prova a rigiocare il suo tempo promettendo di evitare le metafore, gli enigmi e le citazioni; l’idea di trascinare l’epopea della Resistenza, Bella Ciao e il “viva il duce” di Giovinezza tra uno sponsor e un televoto di fronte a milioni di italiani non mi sembra un’idea luminosa.
Cantare giovinezza, magari vestendo le divise dell’epoca è del tutto inopportuno, e non è solo una questione di buon gusto o di pruderie.
Che differenza c’è tra le due canzoni, Professore?
Sia Giovinezza che Bella Ciao sono due canti tradizionali, nati prima che i protagonisti dell’epoca le usassero. Però Bella Ciao pronuncia un universale inno alla libertà.
E Giovinezza?
Pura prevaricazione.
Nella sua Stranamore a chi non acquistava la rivista di destra, toccava un destino certo.
I pugni sulla testa. Li ho presi, posso confermare, però la Storia è un po’ più complicata degli slogan.
Prego?
Esistono le interpretazioni, i cambiamenti, le prese di coscienza. In questi ultimi mesi ho conosciuto molti ragazzi di Futuro e libertà.
Vi siete picchiati?
Li ho trovati preparati e simpatici, rispetto al passato hanno scavato un fosso. Dio solo sa se c’è bisogno di una destra seria: in fondo, sia noi che loro siamo in opposizione a Berlusconi.
Noi?
Mi sento ancora di sinistra anche se come tutti gli amanti traditi, rifletto e mi struggo.
Non vota più a sinistra?
È la mia zona, purtroppo mancano persone in grado di convincere gli elettori. Futuro e libertà, per intenderci, non sarà la mia scelta quando Berlusconi cadrà.
Lei ha detto che il rapporto tra uomo e donna è il fondamento della vita. È d’accordo con il premier?
Ma via, tette e culi esistono da che mondo è mondo. Anche se la morale cattolica si è sempre messa di mezzo, mostrare corpo e bellezza è un privilegio femminile. Non penso sia un dramma. A patto che…
A patto che?
Loro siano padrone del proprio corpo e non gli altri.
A volte non accade.
Gli uomini sono pieni di complessi di inferiorità. Il problema è che non ce la fanno più. Siamo circondati dalla disperazione.
Come se ne esce?
Con l’intelligenza, credo. C’è una soluzione personale, la più limpida: chiudersi in casa come Eduardo in Casa Cupiello.
E poi?
Ma cosa volete? Combattere, spaccare le vetrine, tirare i cubetti di porfido non mi sembrano soluzioni.
Non si nasconda.
È l’Italia che rincula. È fatta, composta, creata con le categorie del più spaventoso conservatorismo. A iniziare dalla sinistra. Proporre rischi ai nostri concittadini è impossibile. Cagasotto, questo siamo.
Origini?
Partiamo dai film di Alberto Sordi, una tragedia.
Non sarà d’accordo con Moretti che sosteneva: “Ve lo meritate Alberto Sordi”?
D’accordissimo. Ha compiuto un’operazione sconvolgente, orribile, devastante. Ha mostrato italiani che esistono ma che sarebbe stato meglio non santificare. Li ha giustificati. Io il mondo l’ho visto. Dalla Svezia al Sudamerica.
E che lezione ne ha tratto?
Sono tutti più tristi e meno geniali di noi, ma hanno il dono di sapere cosa significhi coesione. Sa cosa mi diceva mio padre?
Dica.
Stai con il popolo o con il re. Mai con i borghesi. L’essenza profonda della nostra nazione alberga lì. Tra industrialotti, bottegai, finti perbenisti, gente che si illude di non essere ciò che è. Il peggio del peggio.
Lei ha insegnato a Desenzano: ha incontrato la Gelmini?
Non era una mia allieva, ma le colpe non sono esclusivamente sue. La scuola è un buco nero, distinguere le responsabilità nei decenni è un’impresa.
Equilibrato. Un riflesso della sua educazione? Suo padre libertino, sua madre logica fino al razionalismo.
I caratteri dei miei genitori si sono mescolati. Mamma era forte, sicura, politicamente accesa. Non amava le sfumature. Era morale, non moralista, un po’ come l’Italia di oggi. Nel 2010 l’etica è sepolta.
Torniamo a sua madre.
‘Questo è il bene, questo il male. Questo si fa, questo non si fa’. Era una donna così. Mio padre giocava, andava in giro, viaggiava, si perdeva. Era un generoso. A volte si incazzava.
Cosa lo faceva arrabbiare?
Un paradosso. Le mie notti in bianco e il disordine artistico lo facevano impazzire. Mi dispiace che non abbia visto arrivare i primi successi.
Gli applausi iniziali chiudono il cerchio dei ricordi. 1973. L’uomo che si gioca il cielo a dadi, sempre Sanremo.
Era dedicata a lui. Una canzone semplice, lievemente più elaborata dei componimenti pseudo-leopardiani e ingenui delle mie primissime canzoni.
Anni eroici. Nel 1971 scrisse l’inno della sua squadra (Inter spaziale) e nel 1975 compose l’intera colonna sonora della serie di Tison e Taylor, Barbapapà.
(Ride e non si ferma, poi si ricompone). Siete dei provocatori. Quando ero bambino, mi impegnavo su generi infantili.
Non è vero, aveva già composto Luci a San Siro.
Ma bisognava vivere. Luci a San Siro mi ha dato la fama e la immaginai per la mia prima ragazza. L’amavo moltissimo, si chiamava Adriana. Aveva 16 anni, io 19.
Il tempo emigra e quella Milano non esiste più.
Era una città con le notti abitate da scrittori come Bianciardi, poeti e puttane. In giro, incontravi solo loro. Oggi ti imbatti in chiunque e sei solo.
Accade ovunque?
Ovunque. Gli interessi pseudo-intellettuali hanno trionfato e le metropoli sono diventate dei contenitori. Dove c’è ogni cosa, raramente trovi quella che ti interessa.
Allora meglio Sanremo?
Vi sembrerà strano, ma io sono felice di andare. Non esiste solo la canzone d’autore. Ho fatto di tutto. Suonato jazz, partecipato a orchestre sinfoniche, officiato il cabaret al Derby, allevato studenti e prodotto libri a una velocità che ancora mi impressiona. Volete davvero che mi spaventi Sanremo?
Un’anticipazione?
La passione e l’amore sconfiggono l’orrore. È un tema alto e basso al tempo stesso. Mi sento un cantautore strano e strampalato, ma contaminare mi ha sempre entusiasmato. La mia canzone s’intitola Chiamami sempre amore perché finché lei mi chiama amore, io penso che il mondo possa cambiare.