Il motivo principale per cui, nella delicatissima scelta del festival al quale recarmi in estate, ho optato per il Rock Fest è che c’erano quasi tutti i gruppi di over 55 che non avevo ancora visto dal vivo, a parte i Kiss. Judas Priest, Twisted Sister, Venom, Saxon e Accept erano già sufficienti a rendere irrinunciabile la trasferta catalana. Il motivo collaterale è che la sede era una cittadina, Santa Coloma de Gramenet, a 30 chilometri da Barcellona, collegata in maniera perfetta alla città con i mezzi pubblici a qualsiasi ora della notte. Insomma, non stavi nei pressi della Scrotenburg di turno dove alle otto di sera chiude tutto tranne il bowling, né eri costretto ad adattarti per quattro giorni a una dieta composta esclusivamente da bratwurst und sauerkraut.
Arrivo che hanno appena iniziato i SABATON. A voi potranno pure far cacare ma la loro attitudine cazzarona e i loro corri birraioli, tipo dei Grave Digger più fighetti e bombardoni, hanno conquistato sia me che Charles, facendoli diventare uno dei nostri gruppi feticcio indiscussi. Sono le 18 e 30 e, come spesso accade nei festival pletorici con headliner pesanti, i suoni per il momento fanno schifo ai cani e gli estratti dal nuovo Heroes si discernono solo se si ha familiarità con gli svedesi. Le condizioni non consentono certo uno show memorabile ma su Primo Victoria mi metto a strepitare il ritornello suscitando la perplessità dei serissimi defender sudamericani con i quali ho fatto amicizia nel frattempo. Costoro sono venuti soprattutto per i DREAM THEATER, che non beccavo su un palco dai tempi del tour di Scenes from a memory. Proprio su The spirit carries on un brividino lo provo ma è troppo tempo che hanno smesso di interessarmi. Buon concerto, incentrato sui brani più duri della produzione recente, che si prestano maggiormente al contesto del festival e ti fanno riflettere su quanto, in fondo, Petrucci e compari abbiano un debito insospettato nei confronti dei Metallica.
A questo punto sarebbe il turno di STATUS QUO e SCORPIONS, due istituzioni che non ho mai seguito con particolare dedizione. La mia impreparazione non mi impedirà di godermi dalla prima all’ultima nota due prestazioni perfette, da professionisti consumati. Mi ritrovo a cantare Whatever you want e what’s your proposal con un sorrisone, ondeggiando come uno spaventapasseri al vento. Per quanto riguarda i tedeschi, da vero poser bastardo y cafone, mi sollazzano soprattutto le ballate strappamutande Still loving you, e Wind of change, per la mia generazione il pezzo del quale approfittare alle feste liceali per allungare le mani sul culo delle compagnucce.Dei NIGHTWHISH se me ne fregasse di meno sarei morto, collasso un po’ nei dintorni di uno dei bar e mi metto a discorrere con un brother of metal napoletano conosciuto sul posto, mi rialzo, mi faccio un’altra birra e attendo impaziente i SAXON, che radono tutto al suolo e si confermano in uno stato di conservazione pauroso. Le chitarre vibrano di una cattiveria inattesa, quasi thrash, Biff Byford ha più anni di mio padre e ha il vigore e l’aggressività di un giovincello. E quando inni immortali come Heavy Metal Thunder e Crusader lasciano spazio a qualche brano più recente, o addirittura a un’anticipazione dell’imminente Battering Ram, la tensione non cala. Al di sopra delle mie più irreali aspettative. E stessa cosa posso dire dei WASP, ai quali, alle due del mattino, spetta il compito di chiudere il primo giorno di ostilità. È stata lunga e il pubblico nel frattempo è diminuito. È pur sempre un giovedì e domani c’è chi dovrà andare al lavoro. A gridare I wanna be somebody siamo quindi in meno di quanto auspicassi. Blackie Lawless sarà diventato cristiano rinato, avrà tolto dalla scaletta I fuck like a beast perché Gesù non vuole, ma canta Blind in Texas come se fossimo ancora nell’85. Su Wild child perdo ogni dignità residua. Me la sono fatta fin qua anche per loro (continua…).