Gli ultimi quattro gruppi di stasera mi imporranno di non allontanarmi nemmeno per rifocillarmi o pisciare per oltre cinque ore, quindi me la prendo comodissima e mi presento verso le 21 e 30, in tempo per gli ultimi brani dei LOUDNESS. Mi sono perso i Primal Fear e i Refuge, cioè Peavy Wagner che suona i pezzi dei Rage anni ’80 con Manni Schmidt e Christos Efthimiadis. Per vederli bisognava però spostarsi dal centro alle due del pomeriggio e sorbirti tre o quattro nomi dei quali mi importava poco o niente. E Barcellona è piena di distrazioni. Mangio qualcosa e mi metto sotto l’altro palco per gli ACCEPT, che non hanno sofferto minimamente la perdita un anno fa di Stefan Schwarzmann e Herman Frank, rimpiazzati dal quasi esordiente ma solido Christopher Williams e da, attenzione, l’ex Grave Digger Uwe Lulis. Un inebriante aroma di maiale arrosto si diffonde nell’aria e accogliamo le recenti Stampede (dall’ultimo, per me bellissimo, Blind Rage) e Stalingrad come se fossero dei classici. Beh, sono dei nuovi classici. Gli Accept si sono resi protagonisti della rinascita creativa più sorprendente ed esaltante tra le band di quella generazione. Wolf Hoffman è del ’59 e si sbatte come un ragazzino. Sembra veramente che abbia fatto il patto col diavolo, gli daresti al massimo quarant’anni. Tornillo, invece, l’età un pochino la accusa ma sa trascinare. Ed è pur sempre uno che ha dovuto prendere il posto di uno dei cantanti più iconici della storia dell’heavy metal. Suonano tutte le hit obbligatorie che ti aspetti, da London leatherboys a Fast as a shark, ed è tutto perfetto. Medaglia d’argento (il bronzo forse lo diamo ai Saxon) dopo l’inevitabile primo posto sul podio ai Twisted Sister.
Dopo una prestazione così maiuscola degli Accept, è difficile reggere il confronto per dei JUDAS PRIEST la cui permanenza sulle scene inizia a diventare ingiustificata. Come saprete, KK Downing è stato sostituito da coso Faulkner e, dopo aver annunciato una tournée d’addio poi non rivelatasi tale, il gruppo ha proseguito con un disco che, al netto di quelle tre o quattro tracce carine, avrebbe pure potuto non uscire. Rob Halford non sta più tanto bene e ci mette un po’ per carburare ma ha subito un’operazione chirurgica pesantissima qualche tempo fa quindi non è manco (solo) questione d’età. Lo show decolla dopo mezz’ora con Turbo lover (lo so che lo ha scritto anche Stefano a proposito del Graspop ma, per qualche motivo, è così anche stasera, nonostante tra i pezzi di apertura ci fossero Victim of changes e Metal gods). Alla fine cerco di farmela prendere bene perché non li ho mai visti e forse non li rivedrò mai più. E, nonostante l’inevitabile amaro in bocca, quando chiudono con Living after midnight mi ritrovo a cantare il ritornello come se fosse l’ultima cosa che faccio in vita. La reunion dei Riot senza il defunto leader Mark Reale, sotto la denominazione RIOT V, sulla carta lasciava come minimo perplessi. Invece Unleash the fire (se non lo avete ancora ascoltato, recuperatelo subito) si è rivelato uno dei migliori album di heavy metal classico degli ultimi tre o quattro anni. Di vecchi membri a giustificare l’operazione ci sono Don Van Stavern e Myke Flintz. Tony Moore non è più della partita ma al nuovo acquisto dietro al microfono Todd Michael Hall non si può dire veramente nulla. Aprono con Thundersteel e Fire down under e non fomentarsi è impossibile, se si ha un cuore. A un certo punto arriva pure Akira Takasaki dei Loudness a fare un assolo. Si va via alle tre del mattino dopo aver salutato il Rock Fest con i VENOM. Mi hanno deluso. Intendiamoci, i dischi nuovi sono divertenti. E a me dei Venom piace quasi tutto, pure la roba con Tony Dolan (che in autunno andrà in giro per il vecchio continente con Mantas e Abaddon; sarà interessante fare un paragone). Il problema è il chitarrista, tale Rage, che esegue con suoni sbagliatissimi e pulizia eccessiva riff che dovrebbero essere sporchi e primordiali. La sensazione è quella di avere a che fare con una cover band dotata di un membro originale, tipo gli Entombed A.D. o il nuovo gruppo di Geoff Tate. E, ok che hanno solo un’ora di set, non mi fanno In league with Satan, sigh.Non un’esperienza totalizzante come l’Hellfest. L’affluenza massima è stata 19 mila persone il primo giorno. L’organizzazione afferma che è comunque il doppio rispetto all’anno scorso (è la seconda edizione). L’atmosfera è rilassata e, a livello logistico, è una faccenda molto più gestibile della maggior parte dei festival mitteleuropei per l’efficienza impeccabile del sistema di trasporti di Barcellona, la gran quantità di voli low cost per la capitale catalana e la vasta offerta di hotel centrali e abbordabili. Vale la pena andarci anche con una bill meno irrinunciabile di questa perché la sede fa davvero la differenza se si è abituati alle adunate in terra di Cermania. La mattina, vai a vederti il museo di Mirò dopo aver assunto una fetta di torta, ti fai una passeggiata per la Ciutat Vella e ti scegli la bodeguita dove andarti a sfondare a pranzo e se, alle quattro del mattino, reduce dall’ultimo concerto della notte, hai ancora voglia di andare in giro, le opzioni sono innumerevoli. Poi, ovviamente, per decidere quale festival scegliere l’anno prossimo, bisogna prima sapere se ci sono i Twisted Sister. (Ciccio Russo)