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Non mi era passata nemmeno per l'anticamera del cervello di comprare i biglietti per il concerto in Arena di Rod Stewart.
Poi un'amica mi ha indicato che una rivista/sito specializzato (Carnet Verona) ne metteva alcuni in palio per chi avesse mandato una mail raccontando le sue impressioni su Rod.
Così per gioco l'ho fatto e sono stato fortunato chè mi sono stati regalti due biglietti.
Ma ancora non avevo voglia, il tempo meteorolgico, prendere su dopo il lavoro per andare a un concerto che in fondo era un'incognita, e per giunta erano biglietti non numerati e voglia di resse zero.
Alla fine comunque sono andato. Non convinto, ma i biglietti erano omaggio...
Si sale in Arena, i gradoni sembrano più alti del solito, verso la gradinata non numerata. Non c'è molta gente, l'anfiteatro è mezzo vuoto o se preferite mezzo pieno.
Troviamo due posti comodi, abbastanza centrali. Buoni tutto sommato.
Il tempo meteorologico è fresco ma clemente per quel che riguarda la pioggia (avrà finito l'acqua, vista quanta ne è caduta negli ultimi giorni). Il cielo è un po' nuvoloso ma niente di preoccupante – terrà per tutta la serata.
Alle 21.00 in punto comincia il concerto. Rod accompagnato da una numerosa band (due batterie – due chitarre – basso – tastiere-due sassofoni- una tromba- un violino e tre coriste) sfoggia una giacca che sembra il bravo presentatore di frassichiana memoria – quelle che sfoggerà nel prosieguo del concerto non saranno da meno per eccntricità della prima.
Da subito problemi con il mixer: la voce è troppo bassa e si perde completamente nei pieni musicali. Il gruppo pesta che è un piacere, swinga, rolla, rockeggia, diverte, ma Stewart sembra completamente afono, vuoi perchè di voce gliene è rimasta pochina pochina, vuoi per il suddetto problema mixer. Dopo due o tre canzoni il volume della voce viene finalmente aggiustato e rimangono solo i limiti fisiologici, ma almeno si sente.
Canzoni famose di un canzoniere 40ennale si susseguono a buon ritmo. Comincia a scaldarsi il pubblico, e pure lo scozzese comincia ad ingranare. Arriva una formidabile Lucille di Little Richard e poi quasi a ruota una vera sopresa “Downbound Train” del grande Tom Waits – per inciso interpretata benissimo.
Il concerto va, mi diverto, le perplessità sono sparite, mi son fatto prendere dalla musica, e dalle capacità di quel vecchio marpione da palcoscenico che si rivela essere Stewart.
Il 65enne si muove come un ragazzino citando sé stesso nelle movenze, negli ancheggiamenti. Sì direi che è veramente un vecchio animale da palcoscenico che con le movenze, con il ritmo riesce a far dimenticare le lacune vocali.
Due ore volano, si susseguono i successi da “Da Ya Think I'm Sexy” a Maggie May”, da “Tonight's The Night”, da “It's A Heartache”, a “You're in My Heart” a “Th Fisrt Cut Is The Deepest”.
Ma la mia preferita della serata, quella che m'ha sorpreso commuovendomi è stata “Sailing”.
Dapprima sul megaschermo è apparso lui ricevuto dal principe di Galles e una scritta “Rod Stewart – He Was Only a Plumber's Son”, e poi ha attaccato a cantare con la sua voce dolcemente roca
I am sailing, I am sailing,
home again 'cross the sea.
I am sailing, stormy waters,
to be near you, to be free.
I am flying, I am flying,
like a bird 'cross the sky.
I am flying, passing high clouds,
to be with you, to be free.
Can you hear me, can you hear me
............
Sarà stata la bellezza della canzone o le immagini in bianco e nero di emigranti, di navi che solcavano oceani, di aerei che solcavano cieli ai tempi eroici dell'aviazione, ma mi sono commosso, in modo del tutto inaspettato e forse per questo più bello.
Grazie Rod per il bel concerto cui non credevo né avrei creduto mi fosse stato solo raccontato.
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