di Evi Mibelli
Roger Payne, una vita dedicata al più grande mammifero dei mari
Lo confesso… fino a ieri mattina ero convinta di portare a termine la scrittura dell’articolo di oggi, dedicato al mondo della pellicce. Non vi sarà difficile immaginare cosa ne pensi. Avevo pure selezionato alcune immagini e un eloquente filmato di un paio di minuti (fin troppo lungo) girato clandestinamente in un allevamento norvegese. Beh… ve lo ‘servirò in altro momento, magari intorno a marzo 2013, quando a Milano avremo il Mifur, l’appuntamento fieristico internazionale più importante dell’industria della moda e del…massacro! Sarà anche l’occasione per scoprire, con orrore, come quest’industria stia conoscendo un periodo di ripresa. Fatto tipico: più la crisi morde la vita dei comuni mortali, più la barbarie ammantata di ‘lusso’ si afferma. Intollerabile!
E allora?
Mi resetto e penso che ci stiamo avvicinando a Natale. Una festività che dovrebbe consegnare un messaggio di vita e di speranza. Ho deciso. Ancora una volta voglio dar voce a quegli uomini e a quelle donne che si fanno carico di portare un esempio concreto e straordinario del proprio impegno per la salvaguardia di Madre Terra e dei suoi abitanti.
Roger Payne
Oggi è la volta di Roger Payne, il grande biologo marino che alle balene, al loro studio e alla loro salvaguardia ha dedicato l’intera propria esistenza.
Roger guadagna la ribalta del mondo scientifico e dei movimenti ambientalisti quarant’anni fa quando, insieme a un collega biologo – Scott McVay -, rende noto al pubblico il risultato di una sua ricerca sulle balene e sul loro misterioso canto, individuando, nelle modulazioni e nelle tonalità impiegate da questi grandi mammiferi, un preciso codice di comunicazione della specie. Nel 1970 produce – riversando le registrazioni effettuate durante la lunga ricerca – ”Songs of the Megattera” –, una serie di canti di balene che desta l’interesse di larghe fasce di appassionati e l’entusiasmo del movimento anticaccia, aprendo la strada alla dismissione – in molti Paesi – delle flotte baleniere ancora attive.
Quanta consapevolezza c’è nella società circa la pratica e la crudeltà della caccia alle balene?
“In molti neanche lo sanno, o comunque non si pongono la domanda”, risponde Roger Payne. “Come sempre è necessario far conoscere e divulgare le conoscenze legate a questa specie di mammiferi e rendere noti i rischi cui è quotidianamente esposta. L’esistenza di una moratoria alla caccia delle balene è sicuramente una buona cosa, ma è anche utile sottolineare che chi controlla e legifera su questa materia è lo stesso che ne promuove la caccia. Ovvero l’industria baleniera. Il resto del mondo – vuoi perché non direttamente coinvolto, vuoi perché non informato – non ha nessuna possibilità di incidere su tali strategie. Ne è semplicemente escluso”. In sintesi…i balenieri hanno carta bianca.
In effetti, la moratoria del 1986 ha avuto un impatto decisivo e ha contribuito a rallentare il drammatico calo dei cetacei negli oceani del pianeta. Ma Norvegia, Islanda e Giappone continuano a cacciare. Il Giappone è la nazione baleniera capofila… e controlla il mercato. Norvegia e Islanda dichiarano di cacciare balene per ottenerne carne da destinare ai propri mercati interni. È invece perfettamente chiaro che la motivazione principale è l’acquisizione di valuta estera che gli consente di importare i beni prodotti in Giappone. In buona sostanza, ciò che fanno Islanda e Norvegia è esportare carne di balena in Giappone (che ne fa un uso smodato), in cambio di prodotti giapponesi da immettere nel proprio mercato interno.
Nonostante le minacce di estinzione aumentino e nonostante il permanere della moratoria del 1986 sulla caccia commerciale, la Commissione Baleniera Internazionale (IWC) – organismo istituito per tutelare le popolazioni di cetacei – non è ancora stata in grado di fermare le nazioni baleniere, le quali continuano a sottrarre alle acque questi splendidi mammiferi. Il Giappone, poi, ricorre al pretesto – costruito ad hoc – della caccia effettuata a fini scientifici assumendo un comportamento inaccettabile, che vede le sue flotte violare aree protette come, per esempio, il Santuario dell’Oceano Antartico (istituito nel 1994), dove le balene si raccolgono per cibarsi del krill che qui abbonda.
Insomma, l’ombrello scientifico sotto il quale il Giappone si muove per continuare indisturbato a cacciare, consente una ‘libertà criminale’. Il fine scientifico altro non è che un lasciapassare per pescare illegalmente senza rischi. La definiscono scienza, ma è una truffa. Tanto che in tutti gli anni di ricerca scientifica non è stato prodotto praticamente nessuno studio o pubblicazione dall’introduzione della moratoria. Uccidono di tutto, qualunque specie, ovunque, a qualsiasi età e con qualsiasi mezzo. Dall’entrata in vigore della moratoria sono state abbattute da Giappone, Norvegia e Islanda oltre 30.000 esemplari…
Un focus sulle tecniche di abbattimento è necessario, anche se cruento… Abitualmente viene sparato un arpione del peso di circa 200 libbre, nella parte posteriore della testa di una balena. L’arpione è munito di una punta esplosiva che dovrebbe – in teoria – uccidere l’animale sul colpo. In realtà non avviene praticamente mai. L’animale viene sottoposto a un’agonia straziante. Con specie di balene piccole – per esempio la balenottera minore – il danno dell’arpione esplosivo è anche maggiore. Questo viene lanciato ed esploso non alla base della testa, ma lungo la schiena vicino alla coda. Dotato di verricello, l’arpione serve per ‘alzare’ il corpo della balena e trascinarla verso la baleniera. La morte per la povera creatura avviene per lento, lentissimo annegamento, oltre che per dissanguamento e strazio delle carni: la testa rimarrà sott’acqua, impedendo la normale inalazione di ossigeno. E in alcuni casi vengono impiegati anche elettrodi con scariche elettriche. Un modo crudele di uccidere questi splendidi e mansueti mammiferi. Ma osserviamo il problema anche da un’altra angolazione!Dal 2000 al 2005, Ocean Alliance ha condotto uno studio atto a verificare la presenza di sostanze tossiche e inquinanti nei tessuti delle balene. E i risultati parlano chiaro. Su 955 campioni di tessuto di capodogli raccolti (la scelta dei capodogli è motivata da due fattori: è una specie in cima alla catena alimentare – come lo è l’uomo – ed è una specie con una rilevante presenza di grasso che assorbe molte sostanze inquinanti, tra cui i metalli), sono state trovate altissime concentrazioni di alluminio e cromo. I dati hanno mostrato che le concentrazioni di cromo nelle balene sono percentualmente le stesse di quelle rilevate negli addetti che lavorano in fabbriche a contatto con tale sostanza, per circa vent’anni. L’ipotesi scaturita dall’analisi dei dati è che questi mammiferi marini assorbano le sostanze sia dal cibo sia attraverso l’aria. Analogamente si è riscontrata una elevata concentrazione di DDT in balene al largo delle isole Galapagos, la cui agricoltura locale ha impiegato questo tipo di insetticida per lungo tempo, nelle aree agricole dell’arcipelago.
Che cosa significa? La presenza di questa sostanza non è semplicemente localizzabile nei luoghi dove è stata impiegata. Si ‘muove’, contamina gli organismi più semplici, le piante e via via salendo nella catena alimentare arriva a contaminare gravemente anche ciò di cui si cibano le balene, che si trova al sesto livello. Noi umani condividiamo lo stesso destino: siamo all’apice della catena alimentare e ‘accumuliamo’ quanto è stato precedentemente ingerito o assorbito da altre forme di vita… Considerando i vari passaggi, nei quali gli organismi contaminati non hanno potuto elaborare le sostanze, queste si fissano e passano al livello successivo, amplificandosi rispetto la contaminazione iniziale. Con il passare del tempo, degli anni, l’accumulo è tale che gli effetti sulla salute sono devastanti.
L’equazione è immediata. Presenza di inquinanti = estinzione. Non è solo l’accumulo degli inquinanti nel corso della vita delle balene a essere drammatico; va considerato anche l’aspetto genetico e la trasmissione alle generazioni successive degli stessi inquinanti. La vita di un neonato di balena (ma vale anche per i neonati di umani) comincia con una concentrazione di contaminanti che è circa la stessa di quella della madre. Da questa base di partenza andranno ad accumularsi altre concentrazioni, e la successiva generazione si porterà un carico doppio di contaminazione… Il problema non riguarda solo le balene ma tutti gli animali marini – foche, leoni marini, delfini… – sono tutti esposti gravemente allo stesso problema. Come a dire… le balene si estingueranno, e con esse anche gli altri abitanti del mare. E pure noi, se non fosse chiaro! Aggiungiamoci il recente disastro di Fukushima e del Golfo del Messico, per completare il quadro!
Roger Payne è diventato un simbolo della battaglia per la salvaguardia delle balene e dell’ambiente in cui esse vivono. In un’intervista rilasciata a Cristina Russo di Yale Environment, Payne racconta quale sia stata la ‘scintilla’ che ha trasformato il suo lavoro di biologo in qualcosa di così importante per la salvezza del Pianeta.
“ Il canto… Osservo le persone quando ascoltano il canto delle balene. Nessuno è pronto a quell’ascolto. Le balene comunicano con un linguaggio emotivo. Le persone pensano che le emozioni si possano esprimere solo o quasi esclusivamente attraverso la parola, “Sto bene oppure sto male, sono felice o sono infelice…”. Non è così. Le balene esprimono magicamente le emozioni attraverso la loro singolarissima melodia.
I canti delle balene hanno un profondo impatto sulle persone, al punto da farle piangere senza un apparente motivo. È uno stato d’animo unico e speciale, e la bellezza di questo sentire ci avvicina all’essenza intima di queste meravigliose creature con le quali condividiamo più di quanto siamo disposti a credere… Ecco perché mi sento e dobbiamo sentirci irresistibilmente dalla loro parte”.