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Rohani e il nudo ero(t)ico nell’arte: la malizia negli occhi di chi guarda

Creato il 27 gennaio 2016 da Marianocervone @marianocervone

venere de medici

Per non offendere la sensibilità del Presidente iraniano Hassan Rohani, in visita in Campidoglio a Roma, i Musei Capitolini hanno deciso di coprire alcune tra le sculture più emblematiche della Storia dell’Arte e dell’Archeologia perché nude. Si è così deciso di coprire le sculture con dei pannelli bianchi su tutti e quattro i lati per impedirne la vista. A finire sotto la (temporanea) censura sono state la Venere Esquilina, il Dioniso degli Horti Lamiani e un altro paio di gruppi scultorei. Immediata la polemica diventata un vero e proprio caso politico, così come la notizia che ha fatto il giro del mondo ripresa dalle principali testate, dal The Guardian alla BBC News passando per Le Figaro, senza dimenticare un accenno all’esclusione del vino dai menu ufficiali per non mancare di “rispetto” al gradito ospite.

Ma era davvero necessario?

Sin dalla notte dei tempi, l’uomo ha sempre sentito l’istinto di ritrarre se stesso, spesso avvertendo l’esigenza di immortalarsi completamente nudo, come se l’involucro degli abiti, coprisse, in qualche modo, anche l’anima.

Nudi, si legge nella Bibbia, lo erano anche Adamo ed Eva nel Giardino dell’Eden e “non ne avevano vergogna” (Gen 2:25). Nuda era la Venere di Willendorf 25.000 prima di Cristo, nudi i kouroi e le korai, i fanciulli e le fanciulle, nell’Antica Grecia del VII sec. a.C., gli dei e gli eroi; nudi lo erano anche, nella Roma Antica, gli Imperatori e i gladiatori, uomini virili senza tempo e senza vergogna. E se il teocentrismo medievale scoraggiò la raffigurazione del nudo, Cristo sulla croce è talvolta rappresentato nella sua umana sofferenza: nuda, senza alcun drappo a coprire i muscoli tesi di un corpo dolente.

Col Rinascimento l’uomo riscopre quella bellezza senza veli che tuttavia non esula dalla grazia di Dio, e così il nudo, attraverso i secoli e la storia, riesce ad insinuarsi persino nel sommo tempio della sacralità, la Cappella Sistina, trovando il massimo compimento in quello che è considerato il capolavoro di Michelangelo, che alla morbida nudità dei Donatello e dei Raffaello contrappone una ruvida corporeità, attingendo dalla purezza degli antichi, da quel nudo eroico, non erotico, che intendeva suscitare ammirazione, non attrazione, in quella corporea bellezza nuda, creata e poi sentenziata nella volta del Giudizio Universale. E se Daniele da Volterra, allievo del Bonarroti, fu convocato nel 1565, poco dopo quel Concilio di Trento che bandiva la nudità nell’arte religiosa, a coprire i corpi nudi del suo maestro nella Sistina, dipingendo perizomi e braghe che gli valsero il soprannome di “Braghettone”, nei restauri del XX secolo si decise di restituire luce alle parti in cui tradizionalmente non batte il sole, rimuovendone la maggior parte, nel rispetto dell’artista la cui opera era scevra di erotismo. Ma d’altronde Rohani questo dovrebbe saperlo, non è l’arte che va coperta: la malizia, come la bellezza, è negli occhi di chi guarda.


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