COUNTDOWN A ROMA 40 DC - DESTINO D'AMOREDI ADELE VIERI CASTELLANO
ED ECCOCI ARRIVATE A UNA PRIMA CHICCA NEL NOSTRO COUNTDOWN ALL'USCITA DEL ROMANZO...UN PRIMO IRRESISTIBILE ESTRATTO CHE VI FARA' VENIRE L'ACQUOLINA IN BOCCA ...E ALTRI NE SEGUIRANNO NEI PROSSIMI GIORNI.
IL PRIMO INCONTRO FRA LIVIA E RUFO O FORSE MEGLIO DIRE IL PRIMO SCONTRO... ENJOY!
Roma, 793 a.U.c., ottavo giorno prima delle calende di Iulius (40 d.C., 24 giugno)
Due donne camminavano spedite nei vicoli stretti, affollati e maleodoranti della Suburra, il capo coperto dalla palla e chino sui sandali di cuoio. Saltellavano da un punto all’altro della strada dove pozzanghere di liquami, oggetti abbandonati ed ogni sorta di mendicante stavano a crogiolarsi nel coacervo di schifezze.
«Domina, fai attenzione… attenta!» Gridò una di loro.
L’altra, che la sovrastava di una buona testa e aveva in mano un oggetto cilindrico piuttosto pesante, si voltò a guardarla in cagnesco.
«Ancilla! Smettila di seccarmi. Non manca molto ormai. Ho altre cose per la testa che evitare una pozzanghera.»
Girandosi Livia urtò un uomo corpulento col viso sudato, gli occhi iniettati di sangue e denti marci da far inorridire un mulo. Si sentì afferrare da dita come tenaglie e scrollare due o tre volte, con violenza.
«Guarda dove cammini, stupida femmina.»
Ancilla si erse in tutta la sua statura ma neppure così poté sputare sul viso dello sconosciuto. «Lascia subito la domina!» Esclamò allora, conficcandogli le unghie nella carne del braccio. L’uomo non lasciò la presa e mollò un veloce ed inevitabile manrovescio che fece cadere la giovane schiava proprio in una di quelle pozzanghere che aveva avuto tanta cura di evitare.
Qualche passante rallentò.
Nel vicolo, in quel punto, si affacciava un’insula rumorosa a più piani e dall’altro lato, l’ingresso di un lupanare sulla cui soglia stavano due lupe.
«Guarda, guarda che bel bocconcino.» Alitò l’uomo dalla fogna che aveva al posto della bocca.
Non aveva tutti i torti. La giovane donna che teneva prigioniera aveva occhi di smeraldo, che spiccavano su un viso dall’incarnato perfetto.
«Dove vai, bella? Entriamo nel lupanare, così mi racconti qualcosa della tua famiglia.»
Livia puntò i piedi nella polvere e tirò indietro il volto. Ancilla saltò addosso all’armadio da tergo, appendendosi al collo taurino. L’uomo cominciò a dibattersi, tenendo stretta Livia. La confusione aumentò, le due prostitute tifavano per la schiava e alcuni passanti ridevano a crepapelle. La mano sudicia strappò via la palla dalla testa di Livia. Punte di legno e laccetti di cuoio si allentarono e ciocche castano scuro si riversarono sulle sue spalle. Gli spettatori ne furono deliziati e lo incitarono.
Con un sorriso ebete, mentre sulla testa gli piovevano i pugni di Ancilla, l’infame cercò di lacerarle anche la tunica immacolata ma in quel momento, una voce imperiosa risuonò dietro di loro.
«Che succede, Aulo Plautio? Non hai voluto pagare il divertimento?»
La folla si separò e scese un silenzio tombale. Aulo Plautio rimase solo, al centro della via. L’uomo che aveva parlato fece qualche passo. Il capo scoperto sovrastava gli astanti e il corpo muscoloso e scurito dal sole, lo collocava immediatamente in una categoria a parte. Sopra la lorica muscolata di cuoio che indossava stava il laticlavio di porpora, che indicava il suo rango.
«Il tribuno laticlavio che ha salvato la vita all’imperatore!»
«L’uomo che Caligola ha portato a Roma dalla Germania.»
«Marco Quinto Rufo!»
Quel nome serpeggiò tra la folla come una folgore e parecchi allungarono il collo, incuriositi.
«Rufo, non ho fatto nulla. Queste arpie mi stanno uccidendo!»
Quando ai fianchi del tribuno apparvero quattro guardie pretoriane, la folla cominciò a diradarsi. Ancilla scivolò dalla schiena del grassone e gli mollò un appagante calcio negli stinchi. Livia, tornata libera, si girò. Chi era quel tizio che aveva raggelato la folla?
Si trovò a fissare un torace ampio, due braccia scoperte fino ai bicipiti gonfi. Su quello sinistro una lunga cicatrice disegnava un serpente di carne che arrivava giù, fino al polso nascosto da uno spesso monile di ferro. Era così alto che dovette alzare il mento per guardarlo in viso.
All’istante si agitò in lei qualcosa di indefinito. Una sensazione che da mesi non provava più e che le attraversò il corpo come una vampata ardente, come dopo un grande spavento quando il cuore batte forte e il sangue sembra crepitare ovunque.
Sgomenta, lo fissò.
Si augurò di non dovergli mai rivolgere la parola. Era troppo spaventosa quella sua faccia dura, dagli occhi crudeli sotto le sopracciglia aggrottate. La valutò come fosse stata merce e dopo averla squadrata con fredda efficienza, si rivolse agli ultimi temerari rimasti.
«Fuori dai piedi.»
Lo disse a voce bassa ma in un attimo, la folla si disperse. Anche le due prostitute sparirono nel lupanare, abbassando la tenda che ne chiudeva l’ingresso.
Livia richiuse le braccia attorno al cilindro di piombo. Il tempo stava cambiando. Un alito di vento alzò la polvere della strada e sfiorò la tunica del tribuno. Gli bastò un gesto e due dei quattro pretoriani raccattarono da terra la feccia che l’aveva assalita. O era stata lei? Livia non ricordava come fosse cominciata la rissa.
Marco Quinto Rufo le si avvicinò. Una sottile cicatrice gli attraversava la guancia rasata. Aveva labbra spesse, ben definite, che teneva serrate.
«Donna,» le disse con tono severo «che cosa fai qui?»
E lui, tribuno laticlavio, non doveva essere al fronte a combattere i nemici di Roma?
Livia tirò indietro le spalle per sembrare più alta e lo fissò negli occhi. Si convinse di non aver fatto nulla di male.
«Solo una commissione, tribuno.»
«Sola con la tua schiava? La Suburra non è posto per te.»
«Stavo tornando a casa.»
Deglutì per calmarsi. Alle sue spalle un grugnito, un tonfo, il rumore inconfondibile di percosse. Il tribuno la sfiorò, oltrepassandola. Livia fu investita dal suo odore di maschio, aspro di terra e di sole. Fece un passo indietro, sconvolta. Per Venere Ericina, che montagna di muscoli aveva quell’uomo?
I due pretoriani reggevano Aulo Plautio per le braccia.
«Che devo fare di te, Plautio?»
Beninteso, il grassone non gli rispose. Dalla bocca gli colava un rivolo di bava, il volto era tumefatto e sulla tunica lercia, già macchiata di vino, spiccavano ora rosse macchie di sangue. Rufo lo afferrò per i capelli sporchi, costringendolo a scoprire il collo e portò la mano sinistra sotto la tunica. Livia si mosse senza riflettere.
«Non vorrete ucciderlo!» Esclamò, convinta che quel barbaro stesse snudando un pugnale.
Il contatto con quel braccio sfregiato saettò nella carne di Livia come un dardo di fuoco. La pelle era calda, i peli morbidi. Sentì i suoi muscoli tendersi sotto le dita.
Lui fissò prima la mano sottile che spiccava sulla sua pelle scura, poi le piantò due schegge d’onice nelle pupille. Il dio Crono fermò il tempo. La mandibola virile ebbe un guizzo, un sopracciglio si alzò.
Consapevole della sua audacia, Livia scattò indietro come si fosse bruciata. Un gesto come quello e poteva finire lei stessa sgozzata all’istante.
«Perdonami, tribuno.» Mormorò abbassando il capo e trattenendo il fiato.
«Toglietemelo dalla vista.» Ordinò lui ai pretoriani, senza smettere di fissarla con occhi cupi come l’Averno. Infine, con voce arrochita le intimò:
«Torna alla tua domus donna, prima che decida di rovinarti la giornata.»
Livia, un brivido di paura giù per la schiena, non se lo fece ripetere. Un passo indietro, un altro ancora senza riuscire a staccare gli occhi da quel viso rozzo, crudele. Quando sentì Ancilla afferrarle la mano, si voltò e cominciò a correre.
SAPETE CHE....
Ci sono alcuni riferimenti a oggetti di uso comune, luoghi, persone o titoli nel romanzo di Adele che aiutano a rendere meglio l'ambientazione romana, ma che a molte possono non essere chiari . Ecco una piccola legenda di quelli usati in questo estratto:
LA SUBURRA : Nel cuore dell’antica Roma , la 'Subura' (il cui nome ha la stessa origine del termine latino suburbium ,cioè sottostante alla città, al di fuori dell'urbs, ossia del primitivo stanziamento patrizio sul Palatino) era un quartiere ed una strada che dalle pendici del colle dell’Esquilino si estendeva fino ai Fori e costituiva la parte più popolare di Roma antica: un dedalo di viuzze, botteghe, mercati, catapecchie e insulae, palazzi a più piani con appartamenti in affitto e un susseguirsi di taverne, postriboli, bische ed altri ritrovi malfamati frequentati da ruffiani, imbroglioni e da ogni risma di tipi poco raccomandabili. Oggi la parola ha acquistato anche un significato traslato per denominare lo stato di estremo degrado di una società o di un periodo storico.
Donna con la PALLA
PALLA : un taglio di stoffa rettangolare che copriva completamente la donna, compreso il capo, e che ne contornava il corpo con varie pieghe e ritorni tenuti su dalle braccia. Era molto importante e ricca, tanto che spesso una schiava era addetta alla sistemazione delle pieghe anche mentre la matrona era a passeggio. Era più o meno l'equivalente della toga maschile e una donna non si faceva mai vedere in pubblico senza.
LUPA: Termine usato dai romani per le prostitute anche in riferimento alla loro avidità per il denaro. La femmina del lupo era considerata infatti sinonimo di avidità, cupidigia e avarizia Altre, meno appariscenti, erano genericamente chiamate “meretrix” , derivato da 'merere' (guadagnare).
LUPANARE: Lupanare, dal latino “lupanar”, derivato da Lupa, il nome dato alle prostitute. A Roma i lupanari erano solitamente concentrati nella Suburra (l’area del Circo Massimo).
Lorica muscolata in pelle
LORICA MUSCOLATA: Corazza anatomica, solitamente di cuoio, indossata a protezione del busto. In latino arcaico la parola loris da cui lorica aveva il significato di cuoio (Varrone V, 24). Solitamente appannaggio delle classi più elevate a causa dei costi di fattura, originariamente le loriche consistevano in due valve con il disegno abbozzato della muscolatura, unite sulle spalle e sui fianchi da lacci o cerniere. Le iconografie del periodo imperiale ci hanno tramandato anche modelli molto più elaborati, arrivando a esemplari riccamente decorati a sbalzo o con applicazioni in metallo che dalle evidenze lapidee, parrebbero dei veri e propri capolavori, indossati da figure di assoluta importanza.
TRIBUNO LATICLAVIO: Il tribunus militum era un ufficiale dell'esercito romano. Dopo la riforma mariana dell'esercito romano (I secolo a.C.), che creò i soldati di professione, le legioni furono comandate dal legatus. C'erano sempre sei tribuni per legione: subito sotto il legato c'era il tribuno laticlavio, che era un giovane di estrazione senatoria, e poi, con un rango inferiore, vi erano cinque tribuni angusticlavi, che provenivano dal ceto equestre.
VI E' PIACIUTO QUESTO PRIMO ESTRATTO? COSA PENSATE DEI DUE PROTAGONISTI DOPO QUESTO PRIMO ASSAGGIO? APPUNTAMENTO A LUNEDI' 28/5 PER UN ALTRO ESCLUSIVO ESTRATTO DI ROMA 40 DC - DESTINO D'AMORE!