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Roma – Andata e ritorno

Creato il 04 ottobre 2010 da Marce982

 

Roma – Andata e ritorno

foto: flickr

 

Qualche giorno fa sono tornato da una tre giorni romana che mi ha lasciato con un carico di aspettative – che certamente andranno disilluse, vista la natura della questione – e una sorta di malinconia di fondo.

Per me Roma è una città ambigua, da un lato mi attrae dall’altro mi rigetta, come una donna misteriosa che mi ammalia e mi respinge e poi mi tradisce. Una città che non riesco a definire.

Ogni volta che mi trovo lì mi sento come risucchiato in un gorgo che ruota rapido e mi spinge in fondo, senza lasciarmi possibilità di respirare, travolto dagli eventi. Roma è una città che non riesco ancora a capire e non sono in grado di costruirmi una mappa mentale per orientarmi, anche se ci sono zone che conosco meglio di altre.

Ho fatto un calcolo qualche mese fa. Alla luce di tutte le “fughe” di amici che ci sono state negli ultimi anni, conosco più gente a Roma che a Palermo, il che ha dell’assurdo, se ci si pensa. Ci sono tante persone che conosco che non riesco a incontrarle tutte quando vado e resto soltanto un paio di giorni, allora preferisco non fare torto a nessuno.

Sembra che le vicissitudini della vita, però, non facciano che portarmi lì, che spingermi verso la Città eterna.

Già, Città eterna. L’aggettivo ‘eterno’ mi suggerisce due immagini: Roma è eterna in quanto indissolubile, indistruttibile; Roma è eterna come è eterno il riposo della morte, come se fosse una tomba, insomma (non è proprio un’immagine piacevole).

Per questa ragione da una parte sono attratto, dall’altra voglio fuggire. Per paura dell’ignoto, perché non riesco a comprendere fino in fondo la natura di quel luogo.

Nelle parole di Leonardo Sciascia (citate da Andrea Camilleri), io sono indubbiamente un siciliano di scoglio, non certo di mare aperto. I siciliani di scoglio sono quelli che se si allontanano dalla Sicilia il secondo giorno vanno in crisi d’astinenza, gli cominciano a mancare tutta una serie di cose, dal cibo al clima, al mare, al dialetto ecc. e il terzo giorno devono assolutamente tornare. I siciliani di mare aperto, invece, se ne fregano e fanno della loro “sicilitudine” una sorta di patrimonio personale e lo utilizzano per vivere una vita diversa. In Sicilia ci tornano, certo, perché sta loro nel cuore, ma in ogni caso scelgono di proiettarsi su un altro orizzonte.

Ecco, la faccenda della “sicilitudine” è pesante, perché ti si tatua addosso come un marchio indelebile, non riesci a strapparlo via neppure con tutta la tua volontà. Per alcuni questo è un fardello opprimente, per altri invece è soltanto nostalgia della propria terra, amore per le proprie origini. Non dico che in Sicilia vada tutto bene, anzi, posso affermare che va quasi tutto male. Quello che abbiamo di buono, almeno una grossa parte, lo dobbiamo alla natura e alla nostra storia. Non abbiamo molto di che vantarci negli ultimi cinquant’anni e credo che, se continua con questo andazzo, non avremo nulla di cui essere fieri neppure per i prossimi cinquanta.

Eppure, ogni volta che sono fuori ho una voglia incontrollabile di tornare e così accade anche quando sono a Roma. Roma è l’unica città in cui potrei vivere se dovessi spostarmi da Palermo, l’altra è Miami. Eppure niente potrà mai togliermi dal cuore il desiderio di tornare a casa.

Sì, perché questa è la mia casa.

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