Ogni giorno qualche appartenente al ceto dirigente ci promette di salvare il popolo facendo ricorso, dichiaratamente, a misure “impopolari”. Impopolare, la minaccia viene pronunciata con voluttà, dovrebbe trasmetterci un messaggio sano e curativo: dopo tanta approssimazione, cialtroneria, dissipazione, per farci del bene ci somministrano un amaro purgante con finalità terapeutiche e pedagogiche. Oggi è la volta del costruttore Caltagirone, che propone il suo elisir per i mali di Roma, perfino lui dalle pagine di un quotidiano, non il Messaggero, troppo provinciale, ma il Financial Times, che nessuno si sogna più di comunicare programmi e decisioni e nemmeno consigli, per non dire delle farneticazioni, nelle sedi congrue, istituzionali, ufficiali e tanto meno nazionali. “Abbiamo bisogno di fermare il declino – dice Caltagirone – Roma non merita questo. La città ha bisogno di ordine e disciplina, abbiamo bisogno di un nuovo Monti, di qualcuno fuori dalla politica, di un sindaco che fa cose che non sono popolari”. E chi ti tira fuori dal cilindro come testimonial dell’efficienza, del rapido dinamismo, della modernità capace e competente? Chi secondo lui interpreta al meglio ed esemplarmente, la velocità futurista nel prendere decisioni, nel fronteggiare emergenze, nel prevenire e, se del caso, risolvere problemi? Non lo indovinerete mai, è Mauro Moretti, l’attuale amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, quello che in caso di neve ferma i treni, che fa attraversare steppe gelate a malcapitati viaggiatori, che in tempi di startup, agenda digitale, egemonia informatica ci condanna all’arcaica esclusione da telefoni e pc, appena saliamo sul Frecciarossa, quello che ha tagliato in due il Paese riuscendo nell’impresa che era fallita alla Lega, quello che doveva far pulizia dopo gli scandali, ma che ha compiuto la missione nemmeno nelle toilette di prima classe, quello che per una acrobatica forma di equità, riesce a far viaggiare male tutti, abbienti nelle lunghe percorrenze e peggio ancora, pendolari sui brevi tragitti.
Per il palazzinaro che non si accontenta di fare politica tramite acquisizioni familiari, Moretti ha una freccia – e se non ce l’ha lui – in più al suo arco, perché non è nuovo all’incarico: starebbe già producendo danni come sindaco nella ridente cittadina di Mompeo, un paese in provincia di Rieti.
D’altra parte dopo l’outing di Marchini, anche la concorrenza rivendica il diritto di dire la sua, di manifestare la delusione per le insufficienti prestazioni di Alemanno. Ma Caltagirone è proprio un ingrato, si lagna di tutti, del sindaco attuale benché a fine mandato si sia redento con una bella colata di cemento, e delle giunte di centro sinistra, dimentico del regalo che il soffice Veltroni gli consegnò proprio nell’ultimo giorno di incarico, con qualche funambolica variante ad personam al PRG.
Sono 64 le delibere in materia urbanistica che scalpitano per essere approvate in Campidoglio, dopo aver passate il vaglio della giunta e delle commissioni: dagli “ambiti di riserva” (23 milioni di metri cubi sparpagliati in aree agricole con l’obiettivo, di realizzare housing sociale), a diverse operazioni di cui sono protagonisti grandi nomi – Sergio Scarpellini, l’editore di Il Tempo Domenico Bonifaci, il Vaticano, l’Eur s. p. a. Rende noto la Repubblica che alcune associazioni (Carte in regola, Roma territorio, Dinamo Press) hanno messo in rete mappe della città con evidenziati i siti sui quali potrebbero atterrare centinaia di migliaia e anche milioni di metri cubi:si va da nord a sud, dall’ex Velodromo dell’Eur alla Romanina, dai depositi dell’Atac al comprensorio Casilino, da periferie storiche a nuovi insediamenti.
Ma non è nuovo l’uso di rovesciare sul territorio una quantità enorme di cubature, ma di rovesciare insieme l’edificio di regole e norme dello stato di diritto.
L’ossessione edilizia della giunta consuma il nuovo sacco ad appena quattro anni da un Piano già molto generoso con i costruttori, tanto sovradimensionato da prevedere oltre 60 milioni di metri cubi, in buona parte abitazioni. E la nuova colata viene motivata con la scusa abituale, sostenuta dalla stampa locale che inzuppa sulle occupazioni abusive, nonostante a Roma si contino fra i 200 e i 250 mila appartamenti vuoti e benché prosegua l’esodo dei romani verso la provincia (160 mila negli ultimi anni), spinti dagli affitti sempre più cari e dagli sfratti.
Come è sempre successo in tutti regimi, appunto “impopolari”, l’uscita fisiologica da un crisi consiste nella guerra, e quella l’hanno già mossa contro di noi, grazie alla ricostruzione. E si finge di credere che si esca dalla recessione rimettendo in moto il mercato edilizio, congelato dalla disoccupazione, dalla caduta del valore dei fondi immobiliari, dal rallentamento della costruzione di abitazioni. Si dimentica, al contrario, l’andamento del settore riguardante gli uffici, i centri commerciali, i capannoni-magazzino, le infrastrutture pubbliche e private. Il censimento della popolazione e delle abitazioni (2011) registra un aumento decennale degli alloggi inferiore a quello dei decenni precedenti. Dovuto in parte alla diminuzione delle abitazioni non occupate, che tuttavia restano a un livello inaudito, quasi cinque milioni. E restano distorsioni antiche: i casi di coabitazione costituiscono un primato, se si esclude il periodo del dopoguerra piu’ di un milione. Aggiungendo la pletorica edificazione di quanto non concerne le abitazioni, considerando inoltre l’abusivismo mai morto (forse 30.000 abitazioni l’anno; così una stima relativa al 2008), il risultato è quella «cementificazione» del territorio, quell’enorme consumo di suolo urbano libero e di distruzione di terreni agricoli che si può riassumere in uno slogan, perfetto nel caso Alemanno di volesse ricandidare: «aumenta il cemento calano le abitazioni». Aumentano infatti le edificazioni, ma calano gli alloggi economicamente accessibili alla gran parte di coloro che lo cercano disperatamente o in acquisto con mutuo o in affitto, comunque l’uno o l’altro proporzionato al proprio reddito.
Le consorterie finanziarie e immobiliari, imprenditori subalterni alle direttive di agende europee e vaticane, propongono rose di candidati graditi tra scudieri, famigli, affini, fedelissimi e fidelizzati in alleanze opache. Cui un centrosinistra ancora non risponde, cercando qualche improbabile esponente della corrente dell’accontentarsi, del meno peggio, dell’onesto incompetente o del pragmatico spregiudicato, erede di giunte altrettanto disinvoltamente dedite a offrire circenses al popolo, mentre il pane si confezionava e consumava tra gli “impopolari”.