<
traffici al crocevia fra mondi adiacenti, la rivelazione di una Natura varia e sorprendente, anche la modernità più dinamica e vivace di una civiltà composita. Ma la Turchia, frontiera e consistenza, ha fascino ulteriore e straordinario, è una terra di immaginaria realtà, è vicina, simile e altra, è una
terra in cui, chi arriva e sosta, conquista una dimensione unitamente di oggettività e magia che poi rimane dentro, che si trasforma in visione densa, sicura, persistente. Il ricordo diventa cristallo allora nel fascino sottile di un’atmosfera respirata, il dato di fatto si erge come una roccia che sgrana polveri e colori di realtà sul fantasticare di un’immagine.
Immagini, dunque, della Turchia formano l’insieme di questa mostra, e sono impressioni e annotazioni relativi a un incontro, a una conoscenza, all’acquisizione all’interno di una propria personale memoria, non solo di un paesaggio suggestivo o di un particolare significativo, ma di un’intera esperienza vivificante. Nove artisti italiani espongono opere che sono l’immagine a loro rimasta e comunicata del Paese, sono il solco impresso nel loro almanaccare su pitture e materie, sono la permanenza del mondo visto e vissuto durante la loro permanenza in Turchia. Tutti questi artisti, infatti, hanno dimorato, chi più a lungo, chi meno, in diverse località della Turchia, e ne hanno riportato non tanto la fuggevole sensazione del visitatore, ma piuttosto il rinvenimento profondo di nuove e antiche radici, la sintonia emozionale di un’appartenenza e affinità affettiva.
Permanenze, allora, nel senso sia del soggiorno che ciascuno di essi ha fisicamente, mentalmente e sentimentalmente svolto, e pure nel senso di tutto quello che di meravigliosamente stabile è stato recepito, come atmosfere, circostanze, percezioni e incanti, nella loro intima visione. Sono luoghi e sensazioni, luci, colori, materie e forme, illusioni, effettività di un mondo scoperto e ritrovato, dialoghi da instaurare nel chiuso del proprio immaginario e da aprire al confronto con gli altri. E così con Sabrina Carletti assistiamo al turbinare di terre e venti sulle dune di Seytan Sofrasi, mentre il promontorio roccioso si perde in strie di mare e cielo invernali: paesaggio che è ormai quasi un indistinto tumulto di forze primordiali e impressioni emotive, paesaggio inquieto che ha avvinto per sempre lo sguardo. E si confronta con la serenità impalpabile che Luca Ciaccia ha incontrato sulle terrazze e fra le marine di Bodrum, alla quasi-luce di alte nuvole sull’orizzonte sterminato e assente, azzurrità nella lontananza di una solitudine metafisica. Ancora azzurro e blu, ma son piroette alle piscine di Pammukkale: le creature fiabesche di Giancarlo Montuschi inscenano danze e gioia fra gli sbalzi delle terrazze “di cotone”, sotto arcobaleni tesi e stelle da afferrare in punta di mano. Atmosfera di racconto anche nelle nebbie sabbiose dei quadri di
Valerio De Filippis: i camini delle fate in Cappadocia rosseggiano allo sfondo del rarefatto conversare di sagome da belle époque, mentre il mito irrompe nell’umano arabesco di pelle e stoffe trapunte d’oro fra Ettore e Andromaca. Gli dei misteriosi e antichi abitano ancora le terre del sacro nelle tele di Massimo Franchi, come a Nemrut Dağı s’incontrano volti di pietra a preservare il passato dei misteri, a esaltare e declinare lo splendore del presente. Indietro nel tempo, fino ai primordi della vita sociale, le opere di Ugo Cossu riprendono un filo che da Göbekli Tepe continua a dipanare simboli e segni nella corsa al futuro dell’uomo, oggi come sempre in lotta creatrice con le materie del mondo, marmi e metalli, terrecotte e legno. I kaftani di Antonio
Taschini tessono nell’argilla allegorie grafiche, evocano la grandezza di remoti imperi e carovane lungo le piste e fuochi d’accampamenti e genti e costruttori, ma insieme hanno la morbidezza al vento del soprannaturale come di danzatori dervisci. Infine la città, Istanbul ponte sui mari, ponte
sui tempi, si distende inafferrabile in una foschia opaca di lenta agnizione: i quadri di Pasquale Nero Galante rendono un profilo della città distante, eppure netto e concreto come di terra al traguardo di un viaggio intimo e poetico. Accanto troviamo le fotografie visionarie e surreali di Claudio Orlandi, dove i palazzi sul mare rubano altezze al cielo, assiepati in un disordine pulito e silenzioso lungo la linea piana di ormeggio dei naviganti: immagini trattate come cartoline d’epoca, con gli strappi e le tracce del tempo trascorso che sfaldano i ricordi, ma che ne attestano anche il possesso, ormai attirati e presi nel proprio personale bagaglio d’esistenza.>>
Francesco Giulio Farachi
info:Silvia Barbarotta – PR & Communication ConsultantTurchia – Ufficio Cultura e InformazioniCell. 339.3728738 – Mail [email protected]Angelo Andriuolo – Ars Imago Dei[email protected] Cell. 0039 3472264950