Roma: un modello di sviluppo sbagliato
Uno degli argomenti principali di questa Tavola rotonda e che fa parte del Programma di UN Habitat è quello che riguarda la Pianificazione Urbana e lo Sviluppo Sostenibile per una migliore qualità della vita nelle città.
All’inizio del secondo millennio Roma, nel 2008/2009, ha approvato un nuovo Piano Regolatore Generale che nelle migliori intenzioni di chi lo ha politicamente voluto e di chi lo ha tecnicamente progettato, avrebbe dovuto essere lo strumento per ridisegnare e realizzare la Roma del futuro e nello stesso tempo cercare di sanare i “guasti urbanistici” prodotti nell’arco dei 46 anni intercorsi dall’ultimo P.R.G. “Guasti” derivati principalmente da una gestione del territorio molto superficiale e senza un adeguato controllo da parte delle varie amministrazioni che si sono succedute negli anni, ma soprattutto da un’espansione irregolare della città, “a macchia d’olio”, così come venne definita dall’urbanista A. Cederna. La città si era espansa e si era dilatata in ogni direzione seguendo una linea di marcia dettata non da una corretta pianificazione territoriale, ma dalla forza trascinatrice della rendita fondiaria e della speculazione edilizia che aveva indirizzato questa crescita “insensata” sui propri terreni. Nello stesso tempo la nascita di nuovi insediamenti era stata accompagnata da un aumento della popolazione residente ma non dalla realizzazione di un adeguato sistema di trasporto pubblico, creando così una conseguente e spropositata crescita dell’uso dei veicoli privati.
Al momento dell’approvazione del nuovo P.R.G., quindi, l’analisi della situazione di Roma nei suoi aspetti più problematici ci restituiva una “fotografia” quantomeno preoccupante se non addirittura allarmante. “Roma era diventata un caso esemplare di una condizione urbana le cui patologie affliggono la qualità del vivere e l’esistenza materiale delle persone”. F. Erbani scrittore e giornalista di “Repubblica” nel libro “ROMA Il tramonto della città pubblica”.
Il Piano Regolatore Generale di Roma del 2008
Soluzione quantomeno discutibile, sopratutto dal punto di vista sociale prima che da quello urbanistico, se non altro per i vari esempi fallimentari che la storia urbanistica ci ha proposto a partire da quelli delle New towns inglesi e svedesi degli anni “70”. Le Centralità hanno una ragion d’essere principalmente se al loro interno sono previsti, oltre alle residenze, anche i servizi, le attività commerciali e direzionali, gli uffici e parte di quelle funzioni pubbliche che non possono più restare nelle zone centrali di una città con un Centro Storico come quello di Roma. Non hanno nessun senso se diventano un ulteriore esempio di quartieri dormitorio senza Servizi, senza Infrastrutture, senza Trasporto ed Attività direzionali pubbliche. Inoltre le 18 Centralità previste nel nuovo P.R.G. non nascono da una pianificazione, dalle vere esigenze di sviluppo del territorio o dalla sua vocazione e da una visione globale del suo assetto. Ma vengono individuate in quegli insediamenti, in parte spontanei ed abusivi, sorti in maniera irregolare negli anni precedenti.
Basta guardare la Diapositiva per rendersene conto. Il nuovo P.R.G. non aveva tenuto conto che Roma da quasi 20 anni non cresceva più demograficamente e che dal punto di vista economico erano già presenti tutti i sintomi della grave crisi in arrivo. Nonostante questi due fattori (crescita demografica ed economica) determinanti per qualsiasi sviluppo, espansione e trasformazione di un territorio, fossero negativi, il nuovo P.R.G. metteva in cantiere una previsione edificatoria impressionante di circa 70 milioni di metri cubi di nuove costruzioni da realizzare. Prevedendo nello stesso tempo l’espansione ed il consumo di altro terreno agricolo nell’Agro Romano per ulteriori 15.000 ettari, portando il totale del territorio urbanizzato dell’area metropolitana di Roma a circa 60.000 ettari, una fascia larga circa 100/120 Km, una conurbazione tra le più grandi del mondo.
Noi troviamo una sola spiegazione a queste scelte sbagliate di politica urbanistica. Una spiegazione che ci rimanda alla disastrosa condizione economica del Comune di Roma, con un deficit di circa 9 Miliardi di Euro. La città allora, quasi come una Banca Centrale, non potendo stampare moneta “stampa metri cubi di nuove costruzioni” che diventano la “moneta urbanistica” per risanare il bilancio delle casse comunali. In questo modo Roma è diventata uno dei più grandi “sprawl” d’Italia e per certi versi dell’intera Europa, con molti dei nuovi insediamenti che non superano la bassissima densità di 13 abitanti per ha.
La conseguenza di uno sviluppo così irregolare e per certi versi ingovernabile, per quanto riguarda la Mobilità, e di degrado sia urbanistico che sociale, non avendo previsto nessun tipo di decentramento di attività direzionali e di servizio in queste nuove “Centralità” periferiche,
Ricchezza è anche la qualità del progetto
Tutto quanto segnalato finora non sono certo problemi riferibili solo alla condizione della città di Roma, ma riguardano già da tempo anche il ruolo che si apprestano a svolgere tutte le grandi città, soprattutto in seguito agli straordinari cambiamenti che stanno avvenendo. Per la prima volta nella storia del nostro mondo, a causa di un costante aumento del fenomeno dell’inurbamento, più della metà della popolazione mondiale oggi vive nelle aree urbane. Le Città sono diventate e saranno, come noi pensiamo, il “motore” preponderante per un futuro di crescita e di sviluppo ed è all’interno delle Città che bisognerà impegnare e valorizzare quelle risorse (umane, culturali, sociali) e quelle capacità naturali (di relazione, di creatività, artistiche) che esistono, per cercare di risolvere i problemi e le grandi contraddizioni di cui oggi sono afflitte. Purtroppo oggi la logica che sottende a tutte le operazioni speculative legate alle rendite ed ai profitti ottenuti con le trasformazioni urbanistiche dei territori è la stessa, sia nelle città con vaste aree portuali dismesse, vere porte d’ingresso per chi arriva dal mare, che nelle città metropolitane.
Una stessa logica per dare modo al complice “potere politico” di chiamare al “capezzale” del territorio “ammalato” i “medici” delle grandi società immobiliari e di costruzione. Queste soluzioni non hanno più nessuna ragion d’essere di fronte ai disastri odierni compiuti dal potere economico-finanziario che si immola al dogma neoliberista della crescita infinita. Queste soluzioni non possono più trovare giustificazioni dal punto di vista urbanistico ed architettonico perché nel nuovo modello di sviluppo o nella nuova idea di città non è più consentito disattendere le aspettative di qualità della vita delle persone che come tutti noi hanno il “Diritto” di vivere “degnamente” i luoghi e gli spazi delle nostre città.
Tutto ciò si deve necessariamente tradurre nella realizzazione di “progetti concreti e fattibili” dove trovano casa principalmente concetti divenuti oggi, a tutti gli effetti, “DIRITTI”: ad uno Sviluppo Sostenibile,ad una Crescita o Decrescita Programmata, ad una Sostenibilità Ambientale, ad un Risparmio Energetico con l’uso delle Energie Rinnovabili, ad un impiego di Nuovi Materiali e Nuove Tecnologie Costruttive, ad un Recupero e Riqualificazione di territori e strutture dismesse o abbandonate, ad una Qualità Diffusa dell’Architettura e quindi ad una Migliore Qualità della Vita.
Ecco perché in una situazione come quella che oggi stiamo vivendo, diventa di estrema importanza e assolutamente “necessario” parlare di “Qualità della Progettazione” per cercare di combattere “l’ingiustizia distributiva” che affligge le nostre città.
Giorgio Mirabelli & Lucilla Brignola
Fondatori e Membri del Direttivo di “amate l’architettura”*
movimento per l’architettura contemporanea
*Il Movimento ha preso il nome dal libro di Giò Ponti, famoso architetto italiano degli anni 70”, intitolato “amate l’architettura”.