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Paradiso di sensazioni, Moschea degli Omayyadi
In città quasi nessuno parla inglese, solo qualche negoziante si improvvisa anglofono per compiacere turisti spaesati e bisognosi di trovare lievi certezze in una realtà che faticano a concepire. Non riesco a smettere di guardarmi intorno curiosa di scoprire, capire. Fotografa improvvisata timidamente spio gli angoli delle strade, i volti degli abitanti, donne, ragazze e bambini. Chiese e moscheee, market e carretti forniti di frutta e verdura, venditori di spezie, formaggi e olive.
Dopo i primi giorni ho trovato una stanza in un appartamento a Bab Touma, quartiere cristiano della città. Ad aprirmi la porta, una signora di bella presenza, indossa una lunga jalabba azzurra, ed il marito, sorridente e incuriosito dal mio sguardo spaesato mi offre repentino del caffè turco. Il mio arabo non è ancora pronto ad affrontare conversazioni molto lunghe ma fortunatamente ad accompagnarmi c’è Zeina, mia coetanea conosciuta da qualche giorno, che si diverte a farmi visitare la città e conoscere suoi parenti ed amici. Grazie alla sua facilità nel contrattare riesco ad avere la stanza più bella della casa ad un prezzo molto onesto, 9000 lire siriane (circa 130 euro) per un mese e mezzo. Le condizioni non sono rigide: pulizie e utilizzo della lavatrice una volta a settimana. Oltre a me vive da Marlene anche una studentessa coreana. Ci incontriamo, in cucina, accenno un sorriso e lei subito con un inchino mi saluta “Marhaba!”. E’ l’unica parola che conosce di arabo e l’inglese non lo ha studiato. E’ molto buffa (credo abbia pensato la stessa cosa di me), sembra uscita da un fumetto giapponese….comunicare diventa una sfida e con qualche gesto ed oggetto tra le mani riusciamo a presentarci. Tento di invitarla a cena ma la missione fallisce, continua a preparare la sua frittata e con lo sguardo incerto mi saluta.
Bab Touma si trova all’interno della zona abitata dai cristiani. Nel corso degli ultimi 2000 anni qui attorno sono state distrutte e ricostruite le mura della città vecchia, lungo le quali fino al xx secolo c’erano 13 porte (Bab) che venivano chiuse al tramonto insieme a porte interne che dividevano i quartieri cristiani, ebraici e musulmani. E’ uno tra i quartieri più rinomati in città. Rifugio per turisti alla ricerca di una birra e un’ottima shwarma.
Vi sono molti locali, negozi, suq e soprattutto la Moschea degli Omayyadi.
Uno tra i più imponenti monumenti dell’islam. Certamente il più importante edificio religioso del paese, secondo solo alle moschee della Mecca e Medina. Celata tra queste mura una storia, iniziata circa 3000 anni fa, quando gli aramei costruirono un tempio che in seguito fu dedicato a Giove dai romani e ingrandito notevolmente. Costantino si convertì alla religione cristiana e questa divenne la fede ufficiale dell’impero romano, Giove venne così rinnegato a favore di Cristo ed il santuario pagano divenne una basilica dedicata a Giovanni Battista. Nel 636 d. C. i musulmani varcarono la soglia di Damasco e trasformarono la parte orientale della basilica in una moschea, permettendo ai cristiani di continuare a professare la loro religione nella parte occidentale, questa tolleranza perdurò una settantina di anni mentre Damasco splendeva come capitale del mondo islamico. Quando questo splendore si fece accecante i cristiani furono allontanati dalla basilica e tutte le vecchie costruzioni romane e bizantine rase al suolo. In dieci anni di lavoro questa divenne la moschea più maestosa del paese.
In onore di Allah.
Accanto all’ingresso laterale uomini distribuiscono tuniche nere.
Mi avvicino e ne indosso una. Lentamente mi dirigo all’ingresso principale, si respira una strana aria, piacevole, mi sento come se stessi per scoprire un nuovo mondo.
Tolgo le scarpe, le lascio all’ingresso e mi fermo nell’atrio centrale.
Sono senza respiro.
E’ la cosa più affascinante che abbia mai visto.
L’edificio è bellissimo ma ciò che lo rende incantato sono i fedeli.
Bambini che giocano a palla nel cortile, altri mangiano. Donne leggono il Corano, ragazzi e ragazze studiano, altri parlano tra loro, ognuno si occupa di se stesso nell’attesa dell’ora della preghiera. Attendono la voce del muezzin che dai minareti, tempestati di megafoni di tutte le misure, canta l’inizio della preghiera.
Mi dirigo verso la sala di preghiera, vorrei fotografare ogni istante di quello che vivo ma gli occhi a cui mi rivolgo sono bassi, scuri, nascosti. Desiderosi di non essere scrutati come animali in via di estinzione, in fondo sono solo uomini, donne, bambini alle prese con la vita di tutti i giorni. La loro.
Scatto qualche foto, mi sento inopportuna.
Tutta la sala di preghiera è divisa in un lato per le donne ed uno per gli uomini, si prega separatamente, davanti a Dio non è possibile unire uomo e donna, davanti a Dio non sono concesse distrazioni, esitazioni, solo devozione.
Al centro la fontana delle abluzioni, dove ogni fedele deve lavare i piedi in segno di purificazione prima di iniziare a pregare. Tutto intorno, una distesa di tappeti pronti ad essere solcati a ritmo di preghiera.
L’imam inizia a cantare, è il momento dell’Asr, la preghiera pomeridiana, mi viene intimato di uscire velocemente, volgo un ultimo sguardo e mi dirigo verso l’uscita.
Saluto alcuni bambini che mi guardano curiosi.
Sorrido alle donne che indicano il mio tatuaggio sul piede.
Tolgo la tunica nera e torno ai miei abiti. Torno alla vita fuori delle moschee.
Un brivido corre giù per la schiena.
Il proposito di tornare presto.
Scende la notte, uno spiraglio. Porta laterale. Il cortile illuminato è un palcoscenico di sensazioni variopinte. Entrano solo uomini da questo ingresso, non posso restare ad ammirare lo splendore.
Sospiro.
©Alessia Arcolaci
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