Sempre un villaggio, sempre una campagna
mi ride al cuore (o piange), Severini:
il paese ove, andando, ci accompagna
l’azzurra vision di San Marino:
……………………………………………………………….
Romagna solatia, dolce paese,
cui regnarono Guidi e Malatesta,
cui tenne pure il Passator cortese,
re della strada, re della foresta.(Giovanni Pascoli, Romagna, Myricae, 1981)
Non cito a caso questi versi di Pascoli, prima e ultima quartina della famosa poesia Romagna in cui egli ricorda la sua terra d’origine rivolgendosi all’amico Severino.
Sono tocchi di solare dolcezza, quel clima che ogni qualvolta vado in Romagna ritrovo in un’umanità estroversa ed espansiva, nelle morbide rotondità delle colline dell’entroterra, nel sapore dell’ottima cucina e del buon vino, nel colore del mare.
Non saranno le Maldive o le Seychelles, ma spesso Riccione all’alba e al tramonto saluta così
Alba a Riccione
foto by Primula – Ma Bohème
Tramonto a Riccione
Foto by Primula – Ma Bohème
La natura è bella ovunque.
La Romagna non è tuttavia solo spiagge organizzate, divertimento nei locali notturni, shopping in negozi esclusivi, cene in rustiche trattorie fintamente popolane.
È anche cultura.
È terra di poeti, terra di Dante il primo – pare – che ne abbia parlato in versi (Canto XXVII e Canto XXVIII dell’Inferno )
Dopo l’esilio perpetuo da Firenze, inizia a spostarsi fra città e paesi di Toscana e Romagna e, qui, a viaggiare nello splendido lembo d’Italia al confine con le Marche, tra le province di Rimini e Pesaro Urbino.
La sua tomba, meta di molti turisti, è a Ravenna dove muore nel 1321. Ma si trovano tracce della sua presenza in numerose località della zona, alcune note, altre forse meno:
Cattolica, citata nel XXVIII Canto dell’Inferno
E fa saper a’ due miglior da Fano,
a messer Guido e anco ad Angiolello,
che, se l’antiveder qui non è vano,gittati saran fuor di lor vasello
e mazzerati presso a la Cattolica
per tradimento d’un tiranno fello.
(vs. 76-81)
Morciano la cui Abbazia fu fondata nel 1062 da San Pier Damiani al quale Dante si è spesso ispirato; a lui dedica il XXI Canto del Paradiso
«Tra ‘ due liti d’Italia surgon sassi,
e non molto distanti a la tua patria,
tanto che ‘ troni assai suonan più bassi,e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consecrato un ermo,
che suole esser disposto a sola latria».…………………………………………………..
In quel loco fu’ io Pietro Damiano,
(vs. 106-112)
Probabile quindi che Dante abbia trascorso un periodo della sua vita a Morciano per trovarvi rifugio e ispirazione.
Montefiore Conca, dove si può ammirare una serie di affreschi dedicata alla tre Cantiche della Divina Commedia
Mondaino, una piccola comunità nota per la produzione dell’eccellente pecorino di fossa (caldamente consigliato, perdonate la digressione gastronomica!) e sede del Centro Dantesco San Gregorio in Conca dove si effettuano importanti “letture di Dante”
Carpegna, sull’omonimo monte, culla di alcune della famiglie più celebri di Medioevo e Rinascimento: Malatesta, Montefeltro e quella di Guido Carpegna, appunto, citato da Dante nel XIV Canto del Purgatorio
Ov’è ‘l buon Lizio e Arrigo Mainardi?
Pier Traversaro e Guido di Carpigna?
(vs. 97-98)
E la splendida Fiorenzuola di Focara?
È un magnifico borgo a picco sul mare, raggiungibile anche percorrendo la via panoramica tra Gabicce Monte e Pesaro.
Scorcio sull’Adriatico da Fiorenzuola di Focara
foto by Primula – Ma Bohème
Dante vi soggiorna ospitato – si narra – dal fornaio del paese.
Il promontorio, Monte San Bartolo, è sferzato da folate di vento che causano spesso forti correnti in mare, informazione che chiarisce il significato dei versi con cui Dante ricorda questo luogo e che sono incisi su una lapide posta sopra l’arcata della porta d’ingresso al borgo.
La porta d’accesso al borgo di Fiorenzuola di Focara
foto by Primula – Ma Bohème
Lapide sulla porta d’accesso a Fiorenzuola di Focara
foto by Primula – Ma Bohème
Quel traditor che vede pur con l’uno,
e tien la terra che tale qui meco
vorrebbe di vedere esser digiuno,farà venirli a parlamento seco;
poi farà sì, ch’al vento di Focara
non sarà lor mestier voto né preco».
(vs. 85-90, Canto XXVIII dell’Inferno )
riferendosi appunto al vento talmente impetuoso da spingere le navi a infrangersi sulla costa. Servivano “voti e preghiere” per salvarsi dalla tempesta; in realtà, per evitare l’avvicinamento, sul punto più alto del monte venivano accesi dei fuochi, da cui la specificazione “di Focara”.
Che dire ancora della rocca di Gradara che non si possa già trovare sui libri?
È castello malatestiano: una bolla di Bonifacio VIII del 1299 sancisce Gradara come proprietà di Malatesta da Verucchio che la passerà ai figli per successione ereditaria. È luogo in cui coesistono amore per le arti, cultura raffinata e crudeli delitti .
Particolare della Rocca di Gradara
foto by Primula – Ma Bohème
Camminamenti di ronda all’interno della Rocca di Gradara
foto by Primula – Ma Bohème
La tradizione narra che tra le mura della rocca si sia consumata la tragica storia d’amore di Paolo e Francesca evocata da Dante nel V Canto dell’Inferno
Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende.Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense».
(vs. 100-108)
La vicenda è sicuramente nota; chi di noi alle Superiori non si è commosso leggendo questi versi? Chi non ricorda la passione ricambiata di Francesca, destinata in moglie a Gianciotto “lo sciancato” (Giovanni Malatesti), per il cognato Paolo e il loro assassinio per mano dello stesso Gianciotto?
E questa è la stanza di Francesca
La stanza di Francesca – Rocca di Gradara
foto by Primula – Ma Bohème
L’atmosfera è ricca d’incanto; l’ambientazione, ricostruita, mira a creare un effetto d’impatto emotivo sui visitatori. Colpiscono due particolari: i sedili con il leggio che fanno immaginare i due innamorati intenti a leggere di Lancillotto e Ginevra, e la botola che ricorda la sfortunata fuga di Paolo.
Noi leggiavamo un giorno per diletto
di Lancialotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,la bocca mi basciò tutto tremante.
Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».
(vs. 127-138)La botola nella stanza di Francesca – Rocca di Gradara
foto by Primula – Ma Bohème
Abbandono Gradara per terminare il mio ideale percorso sulle tracce di Dante tra Romagna e Marche con una vera e propria chicca: le Grotte di Onferno.
Le grotte di Onferno
Si aprono sotto le colline della Valconca su cui è arroccato il centro abitato.
Il borgo, con castello, un tempo si chiamava Inferno (da Castrum Inferi) nome cambiato nel 1810 dal vescovo di Rimini Gualfardo. Forse non gradiva la presenza nella Diocesi di una località che, nell’immaginario collettivo, potesse evocare la tana di Lucifero.
Le grotte sono parte di una Riserva Naturale ricca di piante rare e ospitano specie importanti e diverse di pipistrelli.
Tantissimi, credetemi! Alcune fonti parlano di 3500 esemplari, altre di 6000, altre ancora di circa 8000. Comunque sia, una vera e propria colonia!
Ho visitato queste grotte anni fa: un’esperienza indimenticabile che tuttavia non ripeterei più. Sono assolutamente affascinanti, ben inteso!, e non è mia intenzione dissuadere da un’eventuale visita … anzi! … ma per me, terrorizzata dai pipistrelli in genere, percorrere quelle cavità oscure è stato il “mio personale inferno”.
Non è un riferimento casuale.
Infatti la tradizione sostiene che Dante vi sia casualmente entrato nel suo peregrinare per la zona e che la loro atmosfera gli abbia ispirato il progetto dell’Inferno.
Effettivamente sono grotte straordinariamente “dantesche”!
Sarà la forte suggestione del luogo, ciò che realmente si può vedere o intravedere durante la visita, ma sembra proprio di percorrere un immaginario girone infernale.
Accompagnati da una guida, muniti di caschetto e torcia, si scende in mezzo al bosco.
Man mano che ci si abbassa di quota e ci si avvicina all’ingresso, si percepisce uno strano calore – l’umidità dovuta alla vegetazione – e si è avvolti da una sorta di nebbiolina per la condensa che si crea, in estate, fra la temperatura esterna e quella interna.
Pensare ai fuochi dell’Inferno è quasi spontaneo. Magia della cultura e dei suoi poteri!
Ecco l’entrata che introduce a una cavità completamente buia
Discesa verso l’ingresso delle Grotte di Onferno
Ingresso alle Grotte di Onferno
Si prosegue su un camminamento in piano lungo il quale s’incontrano “stanze” di diversa grandezza – a volte nei punti più stretti ci si deve abbassare – e si possono vedere protuberanze o formazioni strane che sollecitano davvero l’immaginazione
Una “stanza” all’interno delle Grotte di Onferno
Strane forme
cristalli di roccia con la classica struttura a coda di rondine che sembrano evocare, che ne so?, le arpie, delle fauci, figure deformate dall’illuminazione delle torce i cui riflessi s’intrecciano creando surreali giochi di chiaro/scuro che aumentano l’”effetto inferno”.
Strane forme
E non scordiamo i pipistrelli!
Passano veloci attraversando i fasci di luce delle torce come apparizioni rapide; le loro sagome sono proiettate sulle pareti della grotta … Bleah! … A luci spente, come chiesto a volte dalla guida, si percepisce il fruscio del loro volo… Wssbh! Wssbh! … Brrr …
Come non immaginare il Lucifero dantesco?
Confesso che alla fine della visita, ero felice di uscire a “riveder le stelle” .
Leggenda, mito, realtà?
Nessun fondamento storico supporta l’associazione tra le Grotte di Onferno e l’inferno della Divina Commedia.
Comunque sia, un dato resta incontestabile: in Romagna Dante ha trovato ispirazione poetica oltre che rifugio politico.
Le foto delle Grotte di Onferno sono tratte dal web: