Magazine Asia
Dove il deserto sorride
Alcuni giorni dopo il mio arrivo, parto alla volta di Mar Musa, chiamata anche Deir Mar Musa, ossia Monastero di Mar Musa. Un minibus traballante, arruginito e affaticato dai chilometri mi accompagna zoppicante. L'autista fuma incessante.
Lentamente ci avviciniamo alla meta, il paesaggio muta e si inaridisce, una distesa di deserto roccioso mi circonda, montagne spiccano verso il cielo. Un pastore in lontananza accompagna le sue pecore. Sperduta nell’immensa aridità del panorama una base militare. "Laggiù" - racconta l'autista - "in quel recinto fatto di rocce e filo spinato, ogni ragazzo siriano trascorre due anni e mezzo della sua vita, tra esercitazioni, spari, lacrime e duro allenamento". Yacoub, mia guida fedele, con voce incerta comincia a raccontare. Il suo sguardo è quasi sempre scuro, di quelli che dopo soli 25 anni di vita hanno già visto troppo. Anche quando ride e scherza non riesce ad abbandonare quella velata tristezza che colora il suo volto.
“Quando è arrivata la chiamata per il servizio militare ho festeggiato. Ero felice. In quel periodo non avevo soldi e la mia mente navigava tra mille idee e sogni da realizzare, a diciotto anni hai voglia di sperare e immaginare il tuo futuro colmo di belle sorprese. A casa non potevo sognare. Dovevo solo lavorare, ho cominciato a 13 anni, stavo in giro tutto il giorno a vendere merce antica, potevo rientrare solo dopo aver guadagnato almeno 2000 lire siriane. Mio padre lavorava duramente e beveva. Beve tutt’ora, tantissimo. Tutto il giorno si ubriaca con l’arak. Da quando è tornato dalla guerra in Israele non riesce a fare altro. Bere, ubriacarsi, stordirsi per dimenticare, annebbiare quelle immagini terribili cariche di dolore. Sangue che scorre, grida, spari incessanti, volti esanimi. Donne e bambini in fuga. Guerra.
Il suo migliore amico è morto accanto a lui, in una guerra che non gli apparteneva. Avevano appena iniziato il servizio militare.” – accende una sigaretta, capisco che quella che copre il suo volto è solo una maschera, la bella facciata da mostrare a noi straniere in visita al suo paese. Dietro si cela un teatro scuro e soffocante.
“Si erano trovati all’improvviso soldati armati con licenza di uccidere. Adolescenti di diciotto anni, armati, a giocare con la vita tra le mani. Poi un’esplosione, un boato. D’improvviso tutto è nero, Farid, accanto a lui cosparso di sangue, il corpo lacerato dalle schegge. Privo di vita. Uno come tanti altri.”
Vorrei che non smettesse mai di parlare, vorrei comprendere tutto di questa realtà, crescere con essa, capire, conoscere quello che i telegiornali dimenticano, nascondono.
Ci avviciniamo al monastero, Yacoub cambia discorso, deglutisce e indica jebel Qassioun, nudo sperone roccioso che sovrasta Damasco, il principale punto di riferimento della città. E’ da questa vetta che Maometto paragonò Damasco al paradiso e si rifiutò di tornarvi proprio perché non era concesso entrare due volte in paradiso. Arriviamo ai piedi della montagna su cui è nato il monastero e ci addentriamo quindi lungo la ripida gola rocciosa che ci conduce ad esso. Il panorama circostante è indescrivibile, non credevo esistessero ancora luoghi così puri e non violentati dalla mano umana. A destra e sinistra volano verso l’alto montagne rocciose circondate dal deserto, un piacevole color rame misto a terra domina dappertutto, qualche albero, poco verde e una distesa fantastica di deserto roccioso. Sopra di noi il cielo, dipinto a grandi pennellate celesti. Entriamo da una minuscola porticina che si apre su una terrazza incantata, mi sento anche io appollaiata sul bordo del dirupo, intorno a me la spoglia pianura. Sembra proprio che gli ultimi 1500 anni qui non siano mai trascorsi. E’ l’ora della meditazione, non è consentito fare per nessun motivo rumore, parlare, bere o fumare. Religioso silenzio.
Attendo ed inizio a leggere: “…questo monastero riporta indietro al VI secolo, ai tempi d’oro del cristianesimo bizantino, quando i deserti e i paesaggi rocciosi dell’entroterra del Mediterraneo orientale offrivano rifugio a centinaia di piccole e isolate comunità indipendenti dedite al culto. Mar Musa è uno dei pochi monasteri del deserto sopravvissuti nella Siria moderna. Secondo i monaci fu fondato nel VI secolo d.C. da un membro della famiglia reale etiopica chiamato Moses che preferì la vita monastica al trono. Trovò rifugio prima in Egitto poi in Palestina e in seguito fondò numerosi monasteri, tra cui questo, edificato sul sito in cui si trovava una vecchia torre di guardia romana. Nell’XI secolo il monastero era sede di un vescovado e fiorì quindi fino al XV secolo, quando invece cominciò il suo lento declino fino al totale abbandono. Fu fortunatamente scoperto negli anni ’80 da un gesuita italiano che, con l’aiuto della comunità cattolica siriana del posto restaurò l’edificio e lo fece riconsacrare. Da quegli anni il monastero è abitato da un piccolissimo gruppo di monaci, suore e novizi, inoltre ospita sia uomini che donne, sia cattolici che siriani ortodossi….”
Qualche minuto prima della fine dell’ora di meditazione decido di entrare nella piccola chiesa, il momento è assoluto, unico. Mi inginocchio e insieme agli altri fedeli, ad occhi chiusi lascio che la mente si svuoti e ripulisca, provo una sensazione bellissima, di pace, tranquillità, immediata serenità.
Una lacrima corre timida sul viso.
Dopo la funzione religiosa si inizia a preparare la cena. Riso con le fave, zucchine, carote e piselli cotti nel brodo, formaggio e yogurt di capra, ricotta salata contornati da marmellata di albicocche, miele e spezie tipiche. Naturalmente pane, fatto di acqua e farina, come piatto. Durante la cena Don Paolo, monaco toscano trasferitosi a Mar Musa dal 1982, racconta la storia del monastero e di come sia stato semplice ed ammaliante far convivere siriani cristiani, ortodossi e musulmani. Accanto a me infatti cena una famiglia musulmana, mi scrutano sbalorditi dal mio aspetto, non riescono a concepire come un gruppo di giovani ragazzi e ragazze italiani possa mischiarsi così semplicemente con loro, perchè non ci siamo seduti in disparte? Perché le ragazze mangiano accanto ai ragazzi? Perché le ragazze si alzano per servire il tè? Perché sorridono così tranquillamente a tutti? Perché sono curiose? Mi accorgo che una bambina musulmana indica i miei jeans, subito controllo il mio aspetto, sono ben coperta…eccetto quello strappo sul ginocchio. Vorrei alzarmi, spiegarle che dietro un paio di jeans strappati non si nasconde nulla di vergognoso, che anche lei dovrebbe poter indossarli, che dovrebbe aiutare i suoi genitori ad accettare la diversità senza esserne spaventati. Comunicare.
Anni di storia hanno insegnato che religioni differenti non possono convivere, una purtroppo deve sempre sopraffare l’altra. Possiamo imparare a conoscerci, non temere le nostre differenze. Nour (luce), mi sorride. Ha un volto molto bello, zigomi pronunciati, pelle macchiata dal sole, occhi nocciola dal lieve richiamo orientale, lunghi capelli castani. Le mani tamburellano impazienti sulla tovaglia, vorrebbe avvicinarsi a me, provare a parlarmi. Non sa qual è la cosa giusta da fare, la madre e il padre potrebbero indispettirsi o semplicemente sorridere. Stuzzicata dal suo sguardo impaziente le mostro anche l’altro ginocchio, stesso strappo, con una mano sulla bocca continua a ridere. Anche la sorellina più piccola ride divertita, sembrano sentirsi catapultate per un attimo in un mondo incredibile, sconosciuto. Le verso un po’ di tè e le sussurro all’orecchio che tra qualche anno anche lei potrà indossarli. Inshallah.
Dopo cena vorrei provare a chiacchierare un po’ con loro ma subito dopo il dolce ci salutano e tornano al loro villaggio ai piedi della montagna. Incerta Nour si avvicina e mi saluta con un bacio. Una carezza sul volto.
E’ dolce il pensiero di tornare tra qualche anno a trovarla.
La notte colora il panorama.
I ragazzi ci salutano per dirigersi verso le loro stanze, non è possibile restare nella stessa zona.
Mi circonda un paesaggio lunare.
I materassi sul tetto, coperte e cuscini. Sdraiati ad ammirarla. La notte.
Distesi a contemplarla, scoprirla per la prima volta.
Uno, poi d’improvviso mille puntini dorati. Brillano. Stelle.
Sembrano avvicinarsi sempre più, camminare, muoversi, ascoltarci, chiacchierare insieme a noi. La mente vola, soffice, leggera, incantata.
Progetti, amori, cuori infranti, malinconiche sensazioni, gioiose emozioni.
Chi torna a casa col pensiero, chi abbraccia una persona cara, chi esprime un desiderio, chi sospira e chi arrossisce. Ognuno atterra nella sua stanza, ognuno respira profondamente l’istante.
*tutti i nomi dei personaggi sono di fantasia
©Alessia Arcolaci
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