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ROMANIA: La rivoluzione di Roşia Montană. Contro la miniera

Creato il 18 novembre 2011 da Eastjournal @EaSTJournal

di Aron Coceancig

La rivROMANIA: La rivoluzione di Roşia Montană. Contro la minieraoluzione inizia a Rosia Montana” è lo slogan apparso nella piazza centrale di Cluj lunedì 7 novembre. Lo slogan è stato lanciato dal movimento che lotta contro la riapertura della più grande miniera d’oro in Europa, a Rosia Montana appunto. Ma procediamo con ordine. Che cos’è e dove si trova Rosia Montana? Rosia Montana (Verespatak in ungherese) è un villaggio della Transilvania che ha la “fortuna” di essere nel centro di una delle zone minerarie più ricche d’Europa. L’estrazione di minerali preziosi iniziò già in epoca romana ed è continuata fino al 2006 quando sotto pressione dell’UE la miniera chiuse perché considerata una bomba ad orologeria. Oggi la miniera è gestita dalla Rosia Montana Gold Corporation (RMGC) i cui proprietari sono i canadesi della Gabriel Resourch per l’80% e il governo romeno per il 19%. Questi hanno presentato un progetto per la sua riattivazione, ghiotti delle stime che indicano una possibile produzione di 8.000 milioni di once d’oro in 17 anni. L’ipotesi della riapertura ha suscitato un forte dibattito nel paese. Se la classe politica si è dichiarata compattamente favorevole all’investimento (il 4% dell’oro andrebbe alla Romania) l’opinione pubblica ha mostrato molto più scetticismo. Sono ben impresse nella memoria dei romeni le due recenti catastrofi ecologiche che hanno interessato l’Europa centrale, nel 2010 il disastro dei fanghi rossi di Kolontar e nel 2000 quello di Baia Mare. A Baia Mare una fuoriuscita di cianuro (che verrà utilizzato anche a Rosia Montana) da una miniera d’oro inquinò prima il fiume Somes poi il Tibisco e infine il Danubio causando uno dei più grandi disastri ambientali europei, coinvolgendo anche Ungheria e Serbia.

Le polemiche fra la RMGC e i movimenti hanno subito una escalation nell’ultimo anno, all’aumentare dei dubbi sull’opera aumentava di contrappunto la campagna mediatica della multinazionale che tramite una pubblicità invasiva ha tentato di convincere la popolazione della bontà dell’opera. La RMGC insiste sul fatto che le moderne tecniche di estrazione hanno ridotto le perdite di cianuro e che l’investimento può comportare vantaggi economici rilevanti sia per la Romania che per il villaggio.

Il vasto e variegato movimento che vi si oppone critica l’utilizzo di cianuro in una miniera a cielo aperto di queste dimensioni. Ma evidenzia anche come il contratto stabilito con la Romania sia incredibilmente svantaggioso (solo il 4% andrebbe al paese) e di come i benefici per gli abitanti sarebbero di breve durata (17 anni) ai quali poi verrebbe riconsegnata una valle distrutta e inquinata. La campagna “Rosia Montana” ha quindi presentato la richiesta di inserire il villaggio fra i siti dell’UNESCO in maniera di fermare la riapertura della miniera e di favorire un’economia basata sul turismo-naturale.

ROMANIA: La rivoluzione di Roşia Montană. Contro la miniera
Il movimento non è composto solo da accaniti ambientalisti ma ha riscosso un successo trasversale, dalle Chiese della Romania (Ortodossa, Cattolica, Protestante e Unitaria), al Ministro dell’Ambiente Ungherese (che si è detto disposto ad intraprendere passi in sede europea per bloccare il progetto), all’Accademia di Romania, agli studenti universitari. I giovani in particolare sono i più attivi, lunedì hanno occupato l’Hotel Continental a Cluj portando con loro striscioni e manifesti che facevano chiaramente riferimento al movimento Occupy Wall street nato negli Usa e diffusosi in Europa. “OccupyConti for Rosia Montana” o “PreOccupy Cluj” erano i loro slogan. Manifestazioni del genere si sono tenute in tutto il paese; martedì sono stati organizzati presidi di fronte alle sedi delle tv e a Bucarest alcuni manifestanti sono stati arrestati dalla polizia.

La Romania sta vivendo una situazione economica difficile (nel 2009 il paese è ricorso a prestiti dell’UE e del FMI) ma fino ad ora le timide manifestazioni di protesta si erano svolte all’interno dei canali tradizionali di partiti e sindacati, riguardando tra l’altro principalmente i contratti dei dipendenti pubblici.


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