Romantico, romanticismo, animo o situazione romantica sono espressioni che ognuno pensa di capire e in realtà non riuscirebbe a spiegare (dimostrando così di non averle capite). Ma la prima impressione, quella cioè di sapere di che cosa si tratti, è talmente radicata che l’esperienza della relativa ignoranza si disintegra quasi nello stesso istante in cui viene compiuta. In questo caso conviene tenersi saldi ai classici, ammesso che si voglia e si sappia interrogarli al proposito. Come quasi ogni concetto emerso dal lavorio degli storici, anche il romanticismo (stavolta inteso nel senso più largo di un’epoca o di una stagione della sensibilità e del gusto) ricava il proprio contorno da un concetto che gli si oppone. Secondo i fratelli Schlegel (che sono i classici da chiamare qui in causa) la qualità distintiva del romanticismo, in opposizione al concetto di modernità, era da ricercare in una qual certa fluorescenza dell’opera letteraria, tale da trascendere il cerchio consueto nel quale si muove ed è racchiuso il linguaggio umano, per attingere così un barlume d’infinito. L’immagine della fluorescenza è molto bella e forse potrebbe essere utilizzata anche per definire altri contesti in cui è possibile richiamarsi all’esperienza romantica senza necessariamente pensare a un’opera letteraria. Per me, ad esempio, si tratta di alcuni momenti “sorgivi” all’interno di un continuum avvertito come abitudinale. Attimi di scarto dal consueto, se vogliamo, che irradiano una luce capace di illuminare in un senso mai prima conosciuto la vita che precede e quella che segue. La memoria di quegli attimi privilegiati continua ad agire anche quando quel tipo d’esperienza si è chiusa. Come un amore finito ma che in realtà non può finire perché ha costruito la grammatica profonda di tutto ciò che in seguito chiamiamo amore.