L’avventura dei generi letterari parte grossomodo dalle sistemazioni di Platone e Aristotele, poi passa al mondo romano, con Orazio, e non solo, e da lì approda al Medioevo; periodo di grande fioritura teorica, seppur con ridefinizioni e riassestamenti, fino addirittura al Romanticismo che ancora fatica a liberarsi del tutto dal giogo, pur controvertendone molti principi.
Facciamo poi un salto vertiginoso e arriviamo agli anni presenti: non bastava la complicazione, in senso etimologico, di generi e sottogeneri (un po’ come è avvenuto per la musica leggera); abbiamo parlato di chick-lit, di sick-lit, di YA. Adesso vengono alla ribalta i romanzi “steamy”.
Il termine, dizionario inglese alla mano, significa tre cose: appannato, umido, sensuale. Triade, ancora una volta, perfetta. Pare, infatti, che da un lato Twilight, con cloni ed epigoni, e dall’altro E. L. James e le sue “sfumature”, abbiano ben preparato il campo per l’ascesa di un nuovo filone che unisce il piglio giovanilistico con la narrazione di avventure piccanti. Una specie di uovo di Colombo.
Nell’ambito della ormai imperante iper-sessualizzazione dei giovani, lo steamy punta a riproporre vecchi stilemi adattandoli a nuovi “bisogni di lettura”.
Nel nostro Paese, apriranno le danze due volumi di The Vincent Boys e The Vincent Brothers, entrambi di Abbi Glines, targati Mondadori. Ma non c’è alcun dubbio sulla proliferazione dei prossimi mesi. Non solo, e non proprio, romanzi rosa, dunque, un po’ storie d’amore e un po’ di sesso, pruriginosi e innocenti, virginali e ammiccanti. Ci sono tutti gli ingredienti per spopolare.
Forse, però, esiste un rischio: che non si riesca più a chiamare le cose non necessariamente con il loro nome esatto.
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