di Paolo Cardenà- Penso una cosa semplice, quasi banale, perfino ovvia. Sappiamo benissimo che le elezioni dello scorso febbraio hanno restituito un risultato elettorale che rende impossibile la formazione di un Governo di legislatura. Ma nonostante ciò, dalle urne è uscito ugualmente, in maniera inequivocabile, un risultato elettorale plebiscitario che non si presta ad interpretazione alcuna. Chi ha governato questo Paese nell'ultimo anno e mezzo e che, presentandosi al cospetto degli elettori, ha ottenuto una sonora bocciatura, non può più governare questo Paese.
Gli italiani hanno votato e hanno espresso in maniera plebiscitaria questa volontà. Qualsiasi soluzione in contrasto con questo risultato è una palese sovversione della democrazia e del voto degli italiani. La democrazia non è esclusivamente quella manifestazione di volontà diretta e positiva, attraverso la quale la popolazione esprime un giudizio (diretto e positivo) votando un candidato o una coalizione. Ma è qualcosa di più ampio, nobile ed elevato, che si sostanzia anche in modo indiretto, attraverso la volontà di negare il consenso a un determinato candidato o coalizione, votandone un altro. Se io voto Bersani o Berlusconi o chicchessia, non solo esprimo un voto positivo a favore di quel candidato, ma ne esprimo anche uno negativo (contrario) nei confronti del candidato non votato. Il risultato lo conosciamo benissimo. Il 90% degli italiani hanno deciso di non volere Monti. Questa mi sembra l'unica verità che sia uscita dalle urne e che non può essere interpretata in alcuna maniera.
Affermare, come ha fatto Napolitano, che "abbiamo comunque un Governo capace di governare" , costituisce un abuso delle carta costituzionale che crea un precedente pericoloso ed inquietante al punto da far tremare i polsi. Avere un Governo dimissionario, benché non sfiduciato da nessun Parlamento, non è la stessa cosa che avere un governo con pieni poteri poiché investito della fiducia di un Parlamento, peraltro, in questo caso, modificato nella sostanza a seguito del voto libero e democratico di milioni di cittadini. E quel governo non può essere presieduto da un personaggio che gli italiani hanno affermato a gran voce di non volere.
Nella gestione dello stallo politico prodotto dal risultato delle elezioni dello scorso febbraio, sono stati commessi degli errori così eclatanti al punto che difficilmente si riesce a pensare che non siano stati assistiti da una colpevole premeditazione . E ciò per diversi motivi che cercherò di spiegare. Come abbiamo avuto modo di scoprire, l'incarico esplorativo affidato a Bersani non ha sortito alcun risultato di rilievo se non quello di aggravare lo stallo politico che rischia di far precipitare nel caos l'intera nazione. Ma perché Bersani ha ottenuto questo pessimo risultato? Dare risposta a questa domanda è molto semplice poiché egli, di concerto con Napolitano, non voleva ottenere nessun risultato se non quello di aggravare lo stallo della crisi che, per forza di cose, secondo l'opinione pubblica, vedrà proprio nel M5S il maggior responsabile delle conseguenze economiche che ne deriveranno. Le elezioni hanno restituito un risultato che vede il PD tra i grandi sconfitti della tornata elettorale con un travaso di milioni di voti proprio a favore del partito di Grillo che nel frattempo è divenuto l'unico interprete (almeno in parte) dei valori naturali della sinistra italiana ai quali, proprio il PD, sembra aver abdicato. Lo stallo conseguente potrebbe avere come effetto proprio quello di eliminare Grillo e il M5S, rei, secondo la vulgata popolare, di aver prodotto lo stallo politico non accettando compromessi con Bersani per la formazione di un Governo. Questa circostanza tenderà ad aggravare il sentiment di sfiducia sull'Italia e, conseguentemente, la crisi economica che determinerà una crescita esponenziale dei livelli di sofferenza di famiglie e imprese che, a loro volta, vedranno in Grillo e nel M5S, i principali responsabili della situazione che si verrà a determinare. L'intento del PD e di Napolitano è proprio quello di guadagnare tempo ed eliminare il partito di Grillo facendo recuperare al PD i consensi sottratti dal M5S. Ciò che induce a pensare alla premeditazione di questo disegno, risiede proprio nelle logiche con cui sono state condotte le consultazioni e nella proposta espressa da Bersani agli stessi partiti. In realtà, il leader del PD, proponendosi ai diversi schieramenti presenti in Parlamento, lo ha fatto come se avesse vinto le elezioni. I famosi 8 punti con cui Bersani ha cercato di attrarre i consensi per la formazione di un nuovo esecutivo, costituiscono un programma di legislatura o comunque di governo di lungo periodo, che non sarebbe mai stato accettato dagli altri partiti per il semplice motivo che il Pd non ha vinto le elezioni. In altre parole, il programma proposto da Bersani, non avrebbe mai potuto catalizzare l'ampio sostegno parlamentare di cui lo stesso programma necessita, per una durata indeterminata. Pensare che i partiti, questi partiti, avessero potuto accettare qualcosa di simile, è solo una pia illusione per nulla aderente alla realtà dei fatti. E così è stato. Dopo l'ingovernabilità sancita dalla elezioni dello scorso febbraio, l'unica soluzione plausibile sarebbe stata quella di ritornare rapidamente al voto, non senza aver quantomeno riformato la legge elettorale. Sarebbe del tutto ingenuo pensare che i partiti avessero accettato la proposta di Bersani che, a mio avviso, sarebbe dovuta essere limitata esclusivamente a due questioni fondamentali da assolvere prima di andare a nuove elezioni. Se Napolitano avesse affidato a Bersani la possibilità di formare un governo di scopo limitando l'azione del nuovo esecutivo alla riforma della legge elettorale, alla riduzione di costi della politica quindi anche del finanziamento ai partiti, i partiti stessi sarebbero stati messi davvero dinanzi alle proprie responsabilità e la democrazia, magari, avrebbe prevalso e sarebbe stata ossequiata con la formazione di un Governo che avrebbe traghettato in tempi brevi l'Italia a nuove elezioni, con una riforma elettorale idonea a garantire la governabilità del Paese. Questa soluzione non si è voluta perseguire e, nonostante il fallimento di Bersani, peraltro ampiamente preventivato, sorprende che non sia stata perseguita una strada alternativa magari affidando l'incarico ad una personalità istituzionale con l'intento di assolvere questo compito. Si è preferito nominare i 10 saggi lasciando a Monti la possibilità di occupare un posto non suo per altri lunghissimi mesi (o anni?), ossequiando i mercati e gli interessi di mezzo mondo, tranne quelli degli italiani. Ora è del tutto verosimile attendersi che creeranno sui mercati quelle condizioni ideali e di terrore per far digerire agli italiani un altro Governo tecnico, o una nuova edizione del Governo Monti. Proprio come accadde 18 mesi fa.