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Roma/Piazza Vittorio

Creato il 19 marzo 2010 da Alessiaarcolaci
IldaStoria breve di una tessitrice senza tela
Non è molta la distanza che percorro da casa per raggiungere il mercato. Al massimo saranno 300 metri. Cinque minuti a piedi. Un puzzle fatto di occhi, labbra, mani, da tutto il mondo. Anzi, un altro mondo. Venditori di giornali gratuiti all’uscita della metro, cinesi camminano a  passo spedito sorseggiando cappuccino, gruppetti di indiani leggono volantini scritti in una lingua incomprensibile, macellai arabi scaricano pesanti carcasse di mucche da camioncini posteggiati in tripla fila, bambini corrono a scuola schiacciati da zaini enormi, poi lei. Ilda. Italiana, romana doc, immagino, capelli corti castano chiari, sguardo severo, una grande busta carica di vestiti siede con lei dietro una colonna di marmo. Cuce. Cuce di continuo, ogni giorno, ad ogni ora. Ricama jeans, magliette, giacche, persino scarpe. Immagino sia stata una stilista, una sarta. La carnagione scura, abbronzata forse dai pomeriggi estivi che trascorre al parco di fronte a casa mia o forse segnata dal passato che la insegue. Dagli anni e dalle peripezie di una vita. Lei è sempre lì. Tra una banca e il portone di un antico palazzo. Seduta, accovacciata, l’espressione sempre scura. Sempre accigliata, spesso sbuffa contro i passanti, urla la sua rabbia, vomita la sua solitudine. Come un rivolgersi sprezzante a chi non ha nemmeno il coraggio di guardarla negli occhi, a chi, come me, non ha mai osato rivolgerle la parola. Vomita la sua realtà. Non chiede soldi, sigarette, non vende fiori o collane di bottoni. Non le interessa. Forse non più. Rivive solo nella sua passione, ago e filo tra le dita, tiene uniti i brandelli di una vita che forse le è sfuggita dalle mani. Abbandonandola a noi, passanti distratti, pensierosi, stanchi e spesso impauriti anche della nostra ombra. Ilda, mi piace pensare si chiami così,  non sorride, ricama instancabile la sua tela. Come Aracne, impavida tessitrice, trasformata da Atena in ragno e condannata a tessere per il resto dei suoi giorni appesa all’albero dal quale voleva uccidersi.
©Alessia Arcolaci

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