Che cosa ha da raccontarci ancora Shakespeare dopo che ogni sua opera è stata spremuta fino all’osso, letta e riletta, portata al cinema, a teatro e in televisione? Il famoso poeta inglese ha ancora molto da dare e il “Romeo e Giulietta” che sarà rappresentato fino al 5 maggio al teatro Carignano ne è la prova.
Valerio Binasco, che nel 2011 ha vinto il premio Ubu per la miglior regia, ha scelto un cast spettacolare e ha focalizzato la sua attenzione su temi marginali e personaggi secondari. Giulietta, interpretata da Deniz Ozdogǎn, parla direttamente all’anima del pubblico grazie alla sua esuberanza e alla semplicità dei gesti e delle parole. Deniz ha dato vita ad una Giulietta sfacciata e innamorata, attaccata alla vita e all’amore per Romeo in misura quasi uguale.
Sullo sfondo di una lotta massacrante tra due famiglie rivali, emerge in tutta la sua bontà e fermezza la figura di Padre Lorenzo, interpretato da Filippo Dini che solo il mese scorso aveva solcato il palco del Carignano con lo spettacolo “Il discorso del Re”. Forse è proprio la sua figura quella che spicca di più tra tutti i personaggi. Attore egregio, tocca punte di perfezione quando invita Romeo, interpretato da Francesco Montanari, ad accettare l’esilio in nome dell’amore che prova per la sua Giulietta. Un prete che sa ascoltare i giovani e calarsi nella quotidianità, andando contro la legge pur di aiutare il prossimo.
Che cosa lascia questa rappresentazione teatrale? I personaggi secondari, che si muovono come flebili figure attorno all’amore incontrastato dei due giovani, sono l’emblema dell’ottusità e della violenza. Una violenza animalesca che il regista ha voluto portare sulla scena senza mezze misure. Nonostante Romeo e Giulietta sia stato scritto secoli or sono, rimane sempre un testo attuale, perché, come dice lo stesso Binasco nelle sue note di regia, la violenza nasce dall’imbecillità umana. E questo testo parla proprio di questo: solamente i due giovani hanno vinto la violenza grazie all’amore e il loro sacrificio è servito per cancellare il rancore che legava le due famiglie avverse. Se il sacrificio di due giovani è servito per placare gli animi, essi devono essere considerati come due capri espiatori, immolati per superare la bassezza umana.
Articolo di Alessandra Coppo.
Foto Goldmund100, licenza CC BY-SA