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Room, il mondo in una stanza

Creato il 29 febbraio 2016 da Trescic @loredanagenna
Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate. La sala cinematografica rischierà di sembrarvi di colpo piccola, piccolissima, soffocante. Come la Stanza che dà il titolo al nuovo film di Lenny Abrahamson (Room, dal 3 marzo al cinema) e che per colpa di uno psicopatico vede rinchiusi per anni Ma’ – un’intensa Brie Larson che si è giustamente aggiudicata l’Oscar come Migliore attrice - e suo figlio Jack, dai capelli lunghi come Sansone – l’incredibile Jacob Tremblay. Un dramma senza fine, che il regista riesce a raccontare con insolita leggerezza filtrandolo attraverso lo sguardo incantato del bambino, per cui Lavandino, Tv, Armadio (in cui dorme) più che oggetti, sono personificazioni di amici materiali. Lo spazio sacrificato non limita la fantasia del bambino, che dalla (poca) luce che filtra dal Lucernario osserva le stelle, le foglie, le nuvole. Non ha voglia di scoprire cosa c’è fuori, pensa che il mondo sia anch’esso racchiuso e rinchiuso in un’altra stanza dai contorni ben precisi, quella incorniciata dal piccolo schermo. Nella tv si muovono persone finte in un mondo finto, pensa Jack. Nella Stanza invece lui e Ma’ sono veri, e così il cesso, i topi, e la sporcizia che gli fanno compagnia. Perché quando la quotidianità è un malandato capannone per gli attrezzi, la categoria del brutto non esiste. E il bello sta negli occhi incontaminati di chi guarda. http://images.wired.it/wp-content/uploads/2016/02/1456737691_large_large_bhPgko14727rF9tSpstSFumiZgl.jpg La fantasia si scontra amaramente con la realtà quando Jack compie cinque anni e sua madre gli rivela all’improvviso la verità, escogitando un modo per farlo evadere dalla Stanza a cercare aiuto. Da lì in poi il film cambia tono e ritmo, la riflessione intimista cede il passo all’avventura, allo spettatore non resta che seguire curioso gli sviluppi della storia, compatire l’alienazione di chi non sa neanche dell’esistenza del mondo, condividerne l’innocenza delle prime volte e di uno sguardo genuino sulle cose. Una storia piena di pathos eppure raccontata con misura ed empatia non comuni da Abrahamson, che per accaparrarsi i diritti del bestseller firmato Emma Donoghue ha scritto all’autrice una lettera lunga dieci pagine. Poi si è scelto un cast minuto, ma d’eccezione. Brie Larson, già applaudita in Short Term 12, eccelle nei panni della mamma affettuosa e, insieme, egoista, prima vittima che cerca e trova nel figlio l’unica ancora di salvezza. Ma la vera sorpresa è proprio il piccolo canadese Jacob Tremblay, una forza della natura, bravissimo, misurato, sempre credibile anche nelle scene più estreme. Consigliamo la visione della versione originale, anche perché la sua vocina resta impressa. A 9 anni è già un attore pazzesco, e ha giustamente fatto incetta di premi ovunque il film sia stato presentato. La verità? E’ un peccato che il suo nome non spunti tra le quattro nomination all’Oscar che Room ha meritatamente ricevuto, tra cui quella come miglior film. The post Room, il mondo in una stanza appeared first on Wired.

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