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Rosa Salvia legge l’ultimo libro di Filippo Ravizza

Da Narcyso

Filippo Ravizza, Nel secolo fragile, La Vita Felice, Milano 2014
di Rosa Salvia

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Può la poesia parlare di questo nostro secolo fragile? Affrontare altresì problematiche civili?
In che modo si può essere poeta? Si annulla l’Io nella sofferenza del mondo? Sono queste le domande di fondo che emergono come interrogativi improcrastinabili da questo nuovo testo poetico di Filippo Ravizza.
La celebre dizione nietzscheana: “colui che ha un ‘perché’ per vivere, riesce a sopportare quasi qualunque come”, potrebbe bene fare da epigrafe alla raccolta.
Si tratta in effetti di una poesia ‘inclusiva’ che fa leva sulla chiarezza espositiva e sull’intensità speculativa e si dipana attraverso un rapporto mantenuto in vita con la tradizione letteraria. Una poesia capace di scandagliare le più riposte pieghe della realtà come dell’animo umano: la sostanza filosofica ed umanistica di cui si nutre le conferisce quelle risonanze universali che possono avvincere anche il lettore non specializzato.
Le parole sembrano acquistare una straordinaria forza espressiva e figurativa, quasi fisicamente incidere, traendo vita dal loro incessante movimento che attinge alla verità stessa dell’esistenza; anzi: a quella sorta di eccedenza della realtà che la poesia possiede.
All’io poetante si intrecciano protagonisti di una realtà dai risvolti spesso ‘amari’, dove campeggia un senso di solitudine e, talvolta, di smarrimento. Aleggia, comunque, nell’opera,
una speranza in un mondo pacificato, in cui è possibile sedare preoccupazioni, insoddisfazioni e affanni attraverso la forza dell’amore, la forza di una generazione disincantata ma vigile, la forza della poesia: […] “sì, dici, sì è vero, ora possiamo dirlo / possiamo credere sì, questo è tempo / è acuto scendere sono io sei tu siamo / questo amore questa lotta questa forza, / è la mia generazione è la voce dei sogni /non dati, il colore delle speranze disperse / è l’amore della parola, la parola, la parola / della poesia, il suo abbraccio, la quiete. – pag. 81
Poesie talora senza punteggiatura, prendono forma tra parole in coppia, in ossimoro, in uno scavo della lingua e nella lingua che annulla l’Io in una sorta di musicale, ma dissonante ‘perdendosi’, sempre sul discrimine fra anima individuale e per certi versi ‘nostalgica’ dell’autore e aspirazione corale.
La parola si frantuma, ma nella frantumazione di sé, i piani del tempo si incrociano e si confondono, futuro e passato si intrecciano, e il presente irrompe in tutta la sua drammaticità.
Il linguaggio delle emozioni, pare suggerire il poeta, nasce dalla perdita della materialità degli oggetti e accede alla metafisica dell’esistente attraverso quella funzione civile ed etica che emerge imperiosa sin dai primi versi.
L’attenzione alla società, di cui il poeta coglie l’insignificanza individuale e collettiva, specchio della crisi ontologica e fenomenologica della modernità, la correlazione dinamica fra funzione poetica e pensiero, il percorso dell’immagine che diventa ‘tema’, sono vissuti altresì nell’ansia di verità, non di sola realtà.
In tal senso nasce impellente la necessità di tornare a una visione primigenia, a una sensibilità naturale presupposto di qualsivoglia rielaborazione filosofica o antropologica: […] la luce della Grecia come / un’anima si flette e dà diverse / interpretazioni del mondo nella / verità e nella grande pervasività / del dubbio sull’orizzonte del logos / che ci chiama credendo sapendo / della finitudine che c’è c’è / ed è ineludibile… […] – pag. 48

L’urgenza dunque di un compito che prende valore e misura soltanto se confrontato all’irreversibile, la testimonianza di chi ha deciso di paragonare l’agire a questo solo scopo: la coscienza storica attraverso il messaggio della poesia che non è “in funzione” di conoscenza: conoscere e poetare sono un unico movimento, quel sublime diletto mentale in cui le ragioni del canto si determinano e riconoscono proprio nella luce di verità ‘conquistata’.

Da: I VOLTI DELLA PIAZZA

Sorridere

Sorridere sui volti della piazza
questo è tempo è acuto scendere
verso una sera che non pensavi: ora
è di tutti la vacanza l’acuta ritmata
povertà: c’è un non oltre guarda manca
per sempre il vivere veloce del destino…
sarà seguire un ponte senza uscita
cammineremo nelle dorate care luci
affacciate nella notte sopra
le acque distanti sopra
uno scorrere pieno…
il lembo o forse la parola
di un grande fiume.
pag.17

Sembra che il pensiero del poeta si bilanci su una parola prima di passare all’altra, come se le parole siano sassi sui quali il suo intelletto si deve posare guardingo per attraversare le acque dell’ ‘errore’. E così nei versi successivi.

Europa Europa

Europa Europa del 2009 balcone
affacciato sul vuoto proteso in avanti
battuto dai venti della verità
dalle vendette della Storia e
della notte Europa Europa alte colonne
palafitta legno di queste acque
nelle tue vele gonfie e tese
a proseguire il viaggio io chinerò
la testa ti penserò solenne
in queste scrivanie sotto le
luci che illuminano le
carte ti penserò nelle notti
attraversate dalle automobili
in faccia alle tue mille e mille
vetrine alle tue merci al
tuo destino che ormai sta tutto
nella mancanza acuta e forte
di un destino.
pag.22

Rovesciarlo

Non torneranno in quel modo
non saranno mai più così le luci
che accompagnavano il tempo in quei
corridoi nudi e alti nelle ricreazioni…
così non ci sarà no non verrà più
alcuno di quegli antichi compagni
che del resto allora io sentivo
da me già nella rassegnazione
a diventare grandi così diversi…
e voi invece miei simili miei pochi
voioi dove siete? Dove? Dove’ Ada
ricordo, e poi Valeria ricordo…
anche tu Gianni e quella professoressa
che mi voleva bene che ci guardava
con tenerezza presentendo quello
che poi è stato: un destino modesto
per quei suoi ragazzi che volevano
cambiare il mondo, rovesciarlo
come si rovescia un guanto.
pag.24

Da: PERSINO LA MEMORIA

Epoca del niente

Estrema verità del nulla
estrema gentilezza luminarie
attonite improvvisamente aprono
mille e mille vie senza percorso
mille e mille parole senza pietà
e senza pena tante e tante canzoni
senza meta senza la libertà dell’orizzonte
mano della sorte epoca del niente
automobili corrono testimoni nudi
bordo risucchio dentro al presente
di tutte le ipotesi – cristalli di luogo
e spazio e tempo e noi noi
senza compiti senza costruzioni
ardite della mente, noi, incerte
titubanti narrazioni fiumi che dubitano
di essere reali di essere nel tempo, lì
dove nessuno sa cosa si dice guardandosi
dentro, la parola guardando protesi
verso le spiagge ultime, guardando la parola.
pag. 37

Da: I POPOLI E LE CLASSI E IL NIENTE CHE NON È NIENTE

Ritorni la poesia

Ritorni la poesia in tutta questa
vita come una lieve benedizione
indulgente rassegnazione della
notte… per la buia eternità che
attende oltre la linea opaca la
piatta verità del niente… come
parola esci tu dalla materia e sei
volume sei cosa che si tocca fermati
ferma questa spiaggia aperta dove
hai corso riva del mare sole spianato
tutto intorno immagine delle cose
teatro della coscienza… percependo
che avevamo mani avevamo occhi
per incontrare l’amore per sognare
una lieve e attenta fissità della gioia
che poi non c’è stata non ha amato
questi esseri che siamo noi, queste
persone il cui destino proprio è
sempre stato dato nel non avere
alcun destino.
pag.55

Da: IO, TU, NOI: IL NOME


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