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Rosa, un po’ grigio, d’antan

Creato il 19 maggio 2022 da Annalife @Annalisa

Ricordo con chiarezza (e possiedo ancora) un paio di libri della Garzanti, copertina rigida, metà gialli e metà viola; non so proprio come mi siano capitati in mano, ma ricordo il primo, “Venere privata”, con questo investigatore, ex-medico, e l’incontro con Livia, dalle conseguenze drammatiche, ma sufficienti a dare il via alla (purtroppo) breve serie che ha come protagonista Duca Lamberti.
Ne parlo perché questa lettura ha invece dato il via alla mia passione per l’autore, Giorgio Scerbanenco, che mi sembrava capace non solo di raccontare trame gialle e sfumature noir, ma anche di caratterizzare in modo perfetto i suoi personaggi, e di immergerli con naturalezza nella Milano di quegli anni che, allora, mentre leggevo, non sembravano poi così distanti, non essendo ancora intervenuta l’accelerazione tecnologica e sociale che mi fa sentire oggi anni luce lontana non solo da Scerbanenco, ma da pochi anni fa.

Se son rose, fioriranno

Ma torniamo a lui, all’autore, ai suoi noir, alle sue trame secche e tragiche, per aggiungere che è stata per me una sorpresona scoprire che era l’autore di storie rosa, che aveva iniziato con la posta del cuore e aveva trasferito le sue esperienze in novelle e romanzi precedenti ai libri che ormai conoscevo bene. Ricordo anche il primo volume di questa serie che ho acquistato secoli fa: “Cristina che non visse”, e alcuni altri che non mi sono piaciuti come i gialli, ma che ho potuto apprezzare per la scrittura. Ne parlo perché, per il Circolo di Lettura, ho letto ora un altro romanzo (pubblicato nel 1956, dieci anni prima di Duca Lamberti) che rientra ufficialmente in questo filone: si tratta di “La ragazza dell’addio”.

La storia è ambientata tra Milano e Pavia (una Pavia di ville in campagna, brume e strade sterrate), ed è costruita intorno a due protagonisti, Milla e Martino, descritti durante i loro brevi incontri e, piano piano, durante l’evoluzione dei loro rapporti.
Di fianco a loro, tra loro, si inseriscono un gruppo ben delineato di parenti e amici, il padre di lei, l’amico fidato di lui, relazioni passeggere, relazioni importanti, un vecchio lavoro insoddisfacente, un nuovo lavoro piovuto dal cielo un po’ incongruamente (per noi che leggiamo, perché l’autore costruisce anche questo aspetto con tutti i passaggi necessari)… tutti personaggi di cui conosciamo poco a poco i pensieri, le tristezze, i sentimenti, analizzati con acume e cura dall’autore.
Su tutto, spicca un modo di vivere e di pensare che appare oggi talmente datato ed estraneo da farci sentire il peso degli anni che queste pagine si portano addosso.

Eppure… eppure proprio questo mondo ora estraneo emerge al di là della trama apparentemente esile (lei ama lui che ama un’altra ma forse no), e ci appare chiaro in tutte le sue sfumature: dal boom economico dell’epoca allo scontro tra due modi (modelli?) di vita opposti, che potremmo semplicemente definire i ricchi e i poveri; dagli abitanti delle periferie urbane che troviamo rassegnati, tristi, pronti a vivere di espedienti, ai cumenda padri e padroni, capaci di far ballare le vite degli altri in base al guizzo del momento o al loro buon cuore; dalla descrizione della figura femminile così come era, ai tentativi di affermarsi nel lavoro, mettendo magari in secondo piano quello che si aspetta invece la società (cioè che diventi moglie e madre e se ne accontenti), fino magari alla resa davanti agli ostacoli che il mondo presenta a chi voglia emanciparsi da certe pastoie.
Viene soltanto da chiedersi se, nascosti dietro una patina di modernità ed emancipazione, gli sguardi degli altri, il loro giudizio, siano ancora per ciascuno di noi così importanti come lo erano, ad esempio, per Milla, pronta a calpestare la propria dignità per tenersi l’uomo che ama, ma pronta anche a rinunciare a un sogno impossibile pur di accasarsi e di non passare sola gli ultimi anni della sua vita, compatita dalla società in cui vive; o per Martino, che ritiene di dover tener fede alla sua immagine di uomo protettivo, vero capofamiglia, anche a costo di farsi prestare soldi e lavoro dall’amico del cuore; o per Carla, povera impiegatina disposta a tutto pur di sistemarsi…

Sul fondo, sempre, un velo di tristezza, tipico di Scerbanenco e drammi di cui ci si chiede il senso (ci sono morti raccontate, ricordate, improvvise, che ingrigiscono le pagine qui e là), sofferenze che sembrano messe tra le pagine per ricordarci di non distrarci troppo, che la vita è così.

Per questo suona un po’ frettolosa e troppo consolatoria la parte finale, dopo una struttura narrativa che tende a ripetersi (senza amore, con amore, fuga, di nuovo senza amore, poi l’amore, altra partenza e così via) ma che in questo modo giustifica il titolo, perché la protagonista non è la ragazza di un addio solo, ma dell’addio, ripetuto, come se questo solo potesse essere il suo destino. Non un noir, certo, ma nemmeno un rosa tout-court, nonostante la parola amore aleggi in tutte le pagine.

Giorgio Scerbanenco
La ragazza dell’addio 
Garzanti, 2017
pgg 305, euro 11,90


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