Nella splendida “Rock & Roll”, brano del 1970 di quel pazzesco fenomeno che furono i Velvet Underground, Lou Reed e soci raccontavano di una ragazza, una certa Jenny, la cui vita era stata salvata dal rock and roll. Più di 40 anni dopo è sufficiente cambiare il nome della ragazza per raccontare ancora una volta l’enorme potere della musica.
La Jenny della canzone dei Velvet Underground in realtà altri non era che Lou Reed sotto mentite spoglie, come spiegherà lui stesso nelle note presenti sul boxset “Peel Slowly And See” del 1995, ma la sostanza non cambia, e – seppur con le dovute contestualizzazioni - la storia di Marissa Paternoster e dei suoi Screaming Females è molto simile a quella del giovane Lou, che trova nella musica le risposte che nè il cinema, nè la televisione, nè tantomeno la religione avevano saputo dargli. È così anche per Marissa, nata in un New Jersey ancora troppo bigotto ed esageratamente patriottico per accettare una ragazzina fragile e introversa, a cui piace disegnare, e che quel paradiso a stelle e strisce che tanto le viene decantato proprio non lo riesce a vedere. Come dal più triste dei copioni, i diversi vengono emarginati, e Marissa viene mal vista e maltrattata dai coetanei, tanto da costringere ad un certo punto i genitori a cambiarle scuola. Non che alla Roselle Catholic High School fosse ben accettata da tutti, ma quantomeno non si prendevano botte, e Marissa riesce così a dar sfogo ai suoi bisogni artistici passando intere giornate a consumare matite.
Con il passare del tempo però, senza che la passione per il disegno svanisca mai, Marissa comincia ad interessarsi alla musica; merito di quel Kurt Cobain che prima o poi ogni adolescente si ritrova ad ascoltare, e del Grunge, che arrivava da quasi tremila miglia di distanza ma descriveva un malessere incredibilmente familiare. Il padre, classico esempio del sognatore sconfitto che alla fine si ritrova a fare il professore di matematica, imbraccia la sua vecchia stratocaster impolverata e apre letteralmente un mondo a Marissa, che ci si butta a pesce: studia, si esercita, prova, registra, smonta e rimonta le sue emozioni con le corde della chitarra, e più cresce la sua tecnica più si abbassano le barriere: quella paura travestita da repulsione verso la maggior parte delle persone si trasforma in energia da sfogare non più nella propria cameretta ma su un palco e dentro casse cariche di corrente. Nei primi anni 2000 conosce King Mike, e con lui decide di fondare i Surgery On TV, che ben presto, con l’aggiunta di Jarrett Dougherty dietro dietro la batteria, cambiano nome in Screaming Females.
È quasi superfluo dirlo, la musica degli Screaming Females è pesantemente influenzata dal grunge, in particolare da quello più nervoso, efficace e meno commerciale – ‘chè tutti ci si innamora di Cobain, ma allungando lo sguardo si vedono Gruntruck e Soundgarden, e allora tanti saluti Kurt!, e il Do It Yourself impera, sia per la voglia di essere padroni delle proprie opere al 100%, sia – soprattutto – perchè la gavetta è fondamentale anche nell’epoca dei talent show. Escono così tra il 2006 e il 2007 i primi due album autoprodotti degli Screaming Females. I pezzi suonano dannatamente punk, e non potrebbe essere altrimenti, ma l’urgenza del suono non riesce comunque a lasciare in ombra la capacità compositiva della Paternoster, già evidente in questi primi lavori, seppur molto grezzi; le offerte di contratto non tardano perciò ad arrivare, e la band firma due anni dopo con la Don Giovanni Records, tramite la quale la band sforna album, EP e singoli ad un ritmo davvero impressionante: la loro discografia conta tra il 2006 e il 2014 5 album in studio, 2 EP, 1 album live, 2 ristampe e 7 singoli.
È evidente che i ragazzi si danno parecchio da fare, e a quanto pare non hanno nessuna intenzione di rallentare. A dimostrarlo arriva il nuovo lavoro in studio, “Rose Mountain”, sesto album ufficiale pubblicato il 24 febbraio che promette già di essere una delle novità più interessanti di questo 2015. La band, dopo essersi affidata per “Ugly” (2012) e “Live at the hideout” alla produzione del guru Steve Albini, verso la fine dello scorso anno ha annunciato che il produttore di “Rose Mountain” sarebbe stato Matt Bayles, che tra gli altri annovera tra le sue produzioni anche Mastodon e Russian Circle. Il risultato è un album in cui l’attitudine devastante del punk degli inizi è quasi scomparsa a favore di un sound mai ammorbidito ma incredibilmente pulito, quasi a dimostrare che gli Screaming Females non registrano più nei garage o negli scantinati, ma in uno studio vero nel quale le idee si fanno più lucide.
Non è più tempo di canzoni da un minuto e mezzo alla Ramones o di vibrazioni violente alla Minor Threat, c’è la voglia di qualcosa di più, forse anche di far vedere che se la Paternoster è stata inserita tra i cento migliori chitarristi di sempre secondo la rivista Spin un motivo c’è, e allora i tre accordi del punk restano, ma si fanno maestosi, a tratti decisamente Sabbathiani (e qui lo zampino è tutto di Bayles), mentre il ritmo rallenta e si fa cadenzato tanto che ci si potrebbe esercitare al solfeggio. Compare quasi in ogni canzone lo spazio per un assolo chitarristico, immancabile se ci si lascia trasportare più da un costante vento heavy metal che da fugaci folate punk…
Ma non pensate a “Rose Mountain” come a un disco heavy metal, perchè sì, in “Ripe” e “Triumph” si respirano fasti del metal che fu, ma c’è molto di più nei 10 brani della tracklist. Gli Screaming Females hanno ascoltato moltissima musica, e gli ascolti si riflettono nelle canzoni, si mescolano, prendono il sopravvento ma poi fanno spazio agli altri, e ascoltare “Rose Mountain” è un po’ come passare in rassegna una pila di cd abbandonati sulla scrivania, di quelle che si creano quando la voglia di cambiare il disco nello stereo c’è, ma manca quella di rimetterlo al suo posto. Sulla scrivania di Marissa e compagni ci sono le Hole (l’attacco di “Empty Head” è tutto loro), i già citati Sabbath, ma troviamo anche i Pixies, padroni della scena nella finale “Criminal Image” e spruzzati qua e là anche in molti altri brani, e poi ancora i Charlatans, qualcuno li riconoscerà nelle pieghe di “Wishing Well”, mentre “Hopeless” sembra scritta da un Eddie Vedder in gonnella (quello in versione solista, non in quella di leader dei Pearl Jam), e addirittura ascoltando “Burning Car” e “Broken Neck” abbiamo l’assoluta certezza che “I am Gemini” dei Cursive sia su quella scrivania, anzi, probabilmente è ancora nello stereo…
Quelli fatti poc’anzi sono soltanto alcuni esempi, e si potrebbe passare qualche ora ad elencare somiglianze, ispirazioni, citazioni o addirittura sospetti plagi presenti in questo disco, ma il succo è che gli Screaming Females hanno passato l’esame di maturità: sono esplosi, hanno divorato i palchi con il punk più adolescenzialmente graffiante, ma poi, proprio come gli scarabocchi sul taccuino di Marissa sono diventati col tempo dei disegni complessi e dettagliati, così – assimilando influenze e macinando palchi – anche la musica si è fatta più dettagliata, curata ed efficace; la band ha finalmente preso il coraggio a due mani, senza la paura di suonare vintage o di sentirsi accusare di commercializzazione, ha sfornato un signor album, e speriamo che continui così.
Insomma, quella ragazzina fragile e introversa da cui tutto è cominciato non c’è più, si è aggrappata al manico della sua chitarra, e la musica ha fatto il resto…
Written by Emanuele Bertola
Tracklist
1. Empty Head
2. Ripe
3. Wishing Well
4. Burning Car
5. Broken Neck
6. Rose Mountain
7. Hopeless
8. Triumph
9. It’s Not Fair
10. Criminal Image