Magazine Cinema
Mirco Mencacci non è un nome di fantasia ma quello di uno dei migliori montatori del suono nel cinema italiano. Questa è la sua meravigliosa storia.
La sfortuna di Rosso come il cielo è l'esser stato girato nel 2005 anzichè nel 1946 altrimento parleremmo di un nuovo Sciuscià. E Cristiano Bortone non è (ancora) diventato Giuseppe Tornatore altrimenti parleremmo di un altro Nuovo Cinema Paradiso. Perchè questo è un piccolo capolavoro, inutile girarci intorno.
E se la scuola italiana credesse soltanto un filino di più al cinema questa sarebbe una delle visioni obbligatorie, imprescindibili.
Perchè è un film che insegna molto di più di un ermo colle imparato freddamente a memoria.
Insegna che l'handicap a volte non è una mancanza, una privazione, ma un valore aggiunto, un dono. Mirco quasi se ne frega della vista perchè conosce la bellezza dei suoni e in questo senso il non vederci più diventa soltanto un ulteriore stimolo a scoprirne la magia. Il primo "montaggio" che crea oltre a dimostrare empiricamente quello che è un talento immenso è anche la prova che l'handicap può esser superato, quasi sublimato nell' arte.
Perchè l'arte, la creatività, e questo è il secondo insegnamento del film, sono istinti che non possono, non devono essere ingabbiati, trattenuti. La scuola per ciechi dove Mirco, suo malgrado, è costretto a stare (per una legge dell'epoca i ciechi non potevano studiare in scuole normali) rappresenta quel mostro burocratico ed istituzionale che in nome delle regole, della forma e della tradizione vieta a qualsiasi ragazzo di esprimere al meglio le proprie inclinazioni, i propri talenti, o semplicemente impedisce loro un naturale desiderio di vivere una vita normale. In questo senso la recita "istituzionale" poi modificata in quella del meraviglioso finale non poteva essere scelta più bella ed originale per trattare questa tematica.
Ma Rosso come il cielo ci parla anche dell'amicizia e di come questa possa portare a risultati straordinari, individuali quanto collettivi. Quando i ragazzini dell'istituto (un gruppo di giovani attori incredibile, quasi tutti veri ciechi) riescono, grazie a Mirko, ad innamorarsi del Cinema e della magia dei suoni, scopriranno quella felicità che per anni era repressa nei rigidi protocolli della scuola. Perchè fare le cose insieme, collaborare, creare, divertirsi e giocare porta nei bambini a risultati che noi adulti non abbiamo la benchè minima possibilità di ottenere. L'unica cosa che dobbiamo fare è permettergli tutto questo, aiutarli. E in questo senso spicca nel film la figura dello straordinario insegnante, uno di quegli adulti notevoli che ogni bambino dovrebbe aver la fortuna di incontrare nel proprio cammino di vita. (in questo senso il film mi ha ricordato anche lo splendido Les Choristes).E sottotraccia il film è anche un grande omaggio al Cinema nel suo senso primario, quello della lanterna magica, quello delle emozioni, quello dei rumori, quello che sa ancora sorprendere e far sognare, quello che, ahimè, soltanto un bambino può vivere.Un film che non cerca mai la lacrima facile o il pietismo ma che, al contrario, attraverso la speranza, la gioia di vivere, l'ottimismo, il lieto fine, ci porta più volte anche a divertirci.
Che dire della sceneggiatura? Prima scena: bimbi che giocano a mosca cieca. Seconda: Mirco al cinema col padre. Terza: Mirco con forbici e nastro che ripara una biglia. In 3 pennellate c'è tutta quella che sarà la sua vita: montatore del suono non vedente. E' una scrittura che trasuda dolcezza, tenerezza, sobrietà e amore per il proprio lavoro.E soltanto una scrittura così può portare alla scena capolavoro della recita finale, una scena simbolo di tutto quello che abbiamo detto finora: l'esaltazione della creatività, il rifiuto delle regole, il valore dell'amicizia, il superamento dell'handicap, l'omaggio al cinema. E anch'io, come gli spettatori della recita, ho preferito vederla con gli occhi chiusi. Per due motivi. Apprezzarla di più. Trattenere le lacrime.Poi ho riaperto gli occhi e quello che trattenevo è uscito fuori.E ridestandomi da quel magnifico buio, uscendone fuori, sono io quello ad essermi sentito handicappato.
( voto 9 )
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