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Rosso diretto per Blatter.

Creato il 20 giugno 2013 da Basil7

di Beniamino Franceschini

da FANPAGE, 20 giugno 2013

Le provocazioni di Blatter circa la superiorità del calcio rispetto alle proteste in atto in Brasile sono emblematiche di un totale distacco del Presidente della FIFA dalla realtà contemporanea, una commistione tra arroganza e primato della politica “panem et circenses”.

Qualche tempo fa mi trovai a illustrare una mia indagine sul mondo del soccer (pubblicata su Sportivamente Mag) a un mio conoscente statunitense appassionato di calcio, il quale, condividendo le conclusioni dell’articolo, mi spiegò alcuni motivi che convincono la MLS a non allinearsi del tutto al sistema della FIFA. «Innanzitutto, l’american way: noi vogliamo fare a modo nostro, abbiamo i nostri problemi e le nostre soluzioni. Stiamo lavorando molto, ma dobbiamo proseguire come sappiamo solo noi, perché gli USA non sono una delle patrie del calcio. E poi, c’è il secondo deterrente: Blatter». Non mi stupii, tutti conosciamo il personaggio che rifiutò di premiare i campioni del mondo del 2006, la squadra vestita d’azzurro di quella espressione geografica che si estende a sud della Svizzera. Comunque, finsi ingenuità: «Blatter»?
«Blatter».
Rimasi in silenzio.
«Ok, let’s talk about Blatter».

Per caso, esattamente un mese dopo, il Presidente della FIFA, riguardo alle imponenti manifestazioni che si stanno tenendo in Brasile contro gli sprechi per l’organizzazione dei Mondiali del 2014 e delle Olimpiadi del 2016, ha detto che «il calcio è più importante dell’insoddisfazione delle persone. Chi protesta non dovrebbe usare questo sport per le proprie rivendicazioni». Sul campo avrebbe ricevuto un rosso diretto.

Il mio amico d’oltreoceano mi spiegava che per gli statunitensi Blatter e i vertici della FIFA sono assolutamente corrotti, nonché proni alla tutela dei flussi di denaro che circolano nel sistema calcistico internazionale indipendentemente dalla provenienza, dalla tracciabilità e dalla sostenibilità sociale degli investimenti. In effetti, mi è venuta in mente l’assegnazione dei Mondiali 2018 e 2022 rispettivamente a Russia e Qatar (Paese nel quale non si esclude che la disputa del torneo possa essere d’inverno). D’altronde, la dichiarazione straordinariamente irrealistica e tardo imperiale di Blatter a proposito delle proteste durante la Confederations Cup continua con l’affermazione che ospitare la Coppa del Mondo sia quasi un lavoro sporco che qualcuno deve comunque svolgere: «Il Brasile ha chiesto i Mondiali, non siamo stati noi a imporli. I brasiliani sapevano che, per organizzare una buona edizione dei Mondiali, dovevano costruire gli stadi. Ma insieme agli impianti ci sono altre opere: strade, hotel, aeroporti. Fanno parte dell’eredità che i Mondiali lasceranno per il futuro».

Il pragmatismo a stelle&strisce – soprattutto economico – del mio amico mi ha riportato alla mente un sacco di aneddoti divertenti su Blatter e le sue trovate: il golden goal e il silver goal; l’esaltazione della fallibilità umana concretatasi nell’ostilità nei confronti della tecnologia in campo; «Non ho premiato l’Italia per evitare alla squadra campione del mondo e a oltre 70mila persone presenti allo stadio di assistere a uno scandalo, cioè al Presidente della FIFA coperto dai fischi: in Germania credono ancora che io avrei preferito affidare l’edizione del 2006 al Sudafrica»; «L’Australia [nel 2006] avrebbe dovuto logicamente passare ai quarti di finale al posto dell’Italia, il rigore non c’era. Mi devo scusare con loro»; la proposta di abolire gli inni nazionali prima delle gare; l’abrogazione della qualificazione automatica al Mondiale per il Paese vincitore del torneo precedente. Il tutto senza dimenticare la gestione della tragedia del Togo nel 2010, quando durante la Coppa delle Nazioni Africane del 2010 in Angola, il pullman della Nazionale del Togo fu assalito dai miliziani del Fronte di Liberazione di Cabinda: morirono l’autista e quattro membri della delegazione. Il Togo ritirò la squadra dalla competizione, subendo la sanzione della Federazione africana nel totale silenzio di Blatter, il cui intervento giunse solo quattro mesi dopo. Il suo vero capolavoro – ahimè – fu, però, in tempi non sospetti, negli anni Settanta, quando divenne presidente della World Society of Friends of Suspenders, organizzazione che si prefiggeva la difesa della giarrettiera dall’avanzata dei collant.

Piuttosto che ricercare soluzioni alternative e trasversali per conquistare un nuovo mandato (sarebbe il quinto) – tramite gestioni creative della FIFA e accordi opachi – il Presidente dovrebbe comprendere come il calcio non sia soltanto strumento di divertimento ed espansione economica, bensì anche un potenziale strumento di integrazione e concordia tra i popoli.  La politica “panem et circenses” ammansisce le folle e devia la loro attenzione, ma è un inganno temporaneo. Quando a entrare in gioco sono i legittimi diritti di protesta e il sistema dei rapporti politici di un Paese, il calcio, a meno che non abbia un reale potere di risoluzione di determinate criticità – e la Storia ci propone vari esempi in questo senso –, non è prioritario rispetto a niente. Non c’è dubbio che i brasiliani amino il pallone e, infatti, impiegando anche soltanto una minuscola dose d’attenzione, Blatter si sarebbe accorto che in questi giorni l’oggetto delle proteste in Brasile non è in alcun modo il calcio.

P.S.: Rileggendo l’articolo e notando quante volte sia stato ripetuto il nome del Presidente della FIFA, devo dire che “Blatter” non suona poi tanto bene in italiano.

Beniamino Franceschini

Rosso diretto per Blatter.

La versione originale dell’articolo può essere letta qui: Rosso diretto per Blatter.



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