Dallo scorso 14 dicembre, nell’ansia di salvaguardare una salute sempre più precaria, ho assunto un impegno con me stessa: evitare con tutti i mezzi a mia disposizione di parlare di politica. Berlusconi si dà allo shopping natalizio imbastendo un indecente mercato di deputati? Stringo le labbra e non proferisco verbo. I signori che con tanta disinvoltura si sono fatti acquistare riempono tutte le pagine di tutti i giornali con le loro scuse traballanti (tormenti interiori, agopunture, ma pensano davvero che possiamo berci qualunque cosa? Sì, lo pensano e sono supportati da ogni evidenza), nel palese imbarazzo di non poter chiamare una transazione economica con il suo nome? Mi affretto fino alla fine dell’articolo e anziché cedere all’impulso di ridurre il quotidiano in brandelli passo con flemma alla pagina successiva. Un ministro della Repubblica scambia uno studio televisivo per una curva, o per uno zoo, o per una di quelle manifestazioni che adesso condanna ma una volta gli piacevano tanto? Normale amministrazione: spengo il televisore, apro un libro e la serata è salva. Il capogruppo al Senato di un partito a caso vaneggia di potenziali assassini che si nasconderebbero tra gli studenti in piazza – legittimamente in piazza e meno violenti di quanto piacerebbe a me contro una riforma che il pur copioso campionario di aggettivi negativi offerti dalla mia bella lingua non mi aiuta a descrivere con sufficiente disprezzo? Mi faccio coraggio pensando che un uomo che sfoggia una simile espressione non sia in nessun caso da prendere sul serio e facendomi ricordare dalla mia parte buona, nascosta chissà dove ma capace di uscire allo scoperto nei momenti più imprevedibili, che nessuno va incolpato della tragedia di non essere fornito di un corredo neuronale che gli consenta di formulare ed esprimere concetti complessi in forme socialmente riconosciute e accettate. Passa Gasparri, passa La Russa, passano Razzi e Scilipoti, passa persino Napolitano che esorta tutti a lasciar governare il pover’uomo, ché la legislatura finisce nel 2013 e c’è ancora tanto da demolire – tutto questo, e molto altro, vide il mio genio e tacque.
Poi, inaspettato come un’epifania, giunge il momento in cui ti capita sotto il naso un mansueto e inoffensivo esponente del PD e il tappo salta. A me è successo oggi mentre guardavo il telegiornale e veniva trasmesso un servizio sugli auguri del Presidente della Repubblica a tutte le alte cariche dello Stato. Non mancava nessuno: c’era Berlusconi con la testa cadente dal sonno, c’era Gasparri per via delle categorie protette, c’era il povero Fini bianco come un cencio e ancora provato dalla batosta della scorsa settimana, insomma un’altra occasione per un attentato che sfuma così, nel colpevole silenzio dell’opinione pubblica. A discorso concluso ecco il consueto scambio di auguri e strette di mano tra il Golem di cerone, fortunatamente riscossosi dal torpore, e i presenti – tra i quali, e arriviamo al momento dell’occlusione istantanea e totale della carotide, Rosy Bindi
Per capirci, sto parlando di questa Rosy Bindi:
Di questa Rosy Bindi.
La stessa signora che in questi due video viene insultata per il suo aspetto in un tripudio di malgarbo, la stessa signora che ebbe la dignità di far presente al saltimbanco che continuiamo a votare da sedici anni (la qual cosa lo autorizza peraltro a definirsi con impudenza “statista”) che no, le donne non sono a sua disposizione, la stessa signora che pensavo avrebbe voltato le spalle o almeno mostrato un contegno severo e arcigno al cafone che l’ha resa una barzelletta da bar, per mostrargli la più ferma intenzione di non lasciarsi calpestare e possibilmente indurlo a una maggior correttezza nella dialettica politica, ha invece accolto il detto cafone con un grazioso sorriso e una disinvolta stretta di mano. Ogni tanto le donne possono anche essere a disposizione, dopotutto.
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