Quando ho scelto di andare a Rotterdam non ho pianificato nulla, a scatola chiusa ho stabilito delle tappe per gestire meglio il tempo.
Sarà colpa delle architetture scintillanti e innovative; sarà stato l’immenso mega schermo pubblicitario all’uscita della stazione centrale, ma qualcosa non mi ha convinto umanamente.
Mi sento di dire che non la sceglierei per la vita, anzi, mi dedicherei proprio ad altre città dei Paesi Bassi più tipiche e accoglienti.
Non ho approfondito nulla su Erasmo da Rotterdam, forse è questo l’unico rimpianto che ho. Né tracciato vie, cose, case e itinerari. E’ probabile ci siano dei percorsi dedicati che mi avrebbero fatto capire in meglio le sue intenzioni, quelle contro la chiesa cattolica che scrisse nel cinquecento nel suo famoso testo Elogio della follia.
Tra gli obiettivi futuri ho pianificato un ritorno da quelle parti: voglio vedere con tutte le mie forze Utrecht e Leida, più che la capitale Amsterdam.
La parte del porto vecchio è la più annoverata sulle guide – anche un signore arrivato in soccorso, mentre cercavo di interpretare la mappa della città, mi ha consigliato di farci un salto. Purtroppo ero di fretta e nel pomeriggio dovevo essere a L’Aia, non conoscendo tempi e distanze mi sono fidata del giudizio di alcuni amici che vivono a Delft, concentrandomi sulla parte della stazione di Blaak.
Proprio in quel frammento di Rotterdam gli architetti si sono sbizzarriti a più non posso producendo strutture divertenti e del tutto inaspettate. Penso alla Centraal Biblioteek a forma di nave da crociera oppure al megamatitone con affianco abizioni/uffici cubici ormai simbolo della città.
Sempre nella stessa zona si trova il Markt Hall – il mercato coperto più grande d’Europa – realizzato dallo studio olandese MVDR.
E’ una struttura a ferro di cavallo che ha al suo interno anche uffici e appartamenti.
Ho pensato molto all’effetto che potesse fare di notte, pare che col buio si possano ammirare i frutti realizzati da alcuni artisti contemporanei di cui, ahimé, non ho approfondito i nomi. La visione offre una sorta di chiave tridimensionale già nelle ore di luce, figuriamoci di sera.
Ho capito che il quartiere riqualificato dei musei è di una ficata assoluta.
Sono arrivata alla Kunsthal accolta dal suono della musica di un jukebox pubblico e da una signora francese entusiasta della propagazione di note nell’aria.
La reazione degli altri, quando diventa contagiosa, permette di vivere esperienze entusiasmati!
Clicca per vedere lo slideshow.E’ stata la mia prima volta in uno spazio di questo tipo, e già sento già il bisogno di tornarci. Ho visionato tante cose, tra queste, ho scelto gli ambienti dedicati all’artista tedesco Parra (1976).
Ho riso di gusto tra provocazione e attenzione. Le sue immagini erano elaborate in un linguaggio ricco di commistioni tecniche e stilistiche incentrate tutto sul filone della Post – Pop Art e distribuite su buona parte delle pareti di alcune sale centrali (http://byparra.com).
Questo video è una sua collaborazione che poteva essere ascoltata e visionata lì, in cui i disegni proposti sono suoi.
Da ciò che ho capito lui è frequentatore assiduo delle scene underground di mezza Europa, anche se sono rimasta con un dubbio atroce fino alla fine: capire cioé se si trattasse di una retrospettiva o meno.
Non avevo a disposizione il materiale informativo tradotto in lingua inglese e questo è stato un peccato.
Vorrei soffermarmi sul cuore che mi è esploso a contatto con l’allestimento di Krištof Kintera. Artista nato a Praga, in Repubblica Ceca, nel 1973.
L’impianto dell’intera esposizione si struttura in molti spazi compresi scenari e viottoli di sicurezza. Il suo modo di lavorare, seppur fastidioso – poiché ricco di dinamiche fin troppo trite per noi occidentali – lancia un segnale di allarme sulla condizione di spaesamento generato dalla crisi, gettando un occhio sul passato recente.
Your light is my life è il titolo della mostra e richiama un’opera precisa custodita in nel contesto. Nelle foto è possibile vedere come essa sia un intreccio assurdo di cavi e lampade il cui dialogo cresce in una elaborazione di significati molteplici. L’illuminazione improvvisa, che spegne l’intero ambiente, si concentra nella volontà di innalzamento spirituale.
Attraversare questo racconto vuol dire essere in un vero campo di sterminio – e non esagero quando dico così.
Kintera esaspera tutte le nostre componenti contemporanee e le porta ad uno stato di risveglio con azioni traumatiche e traumatizzanti.
Succede proprio in Revolution [Revolutie], 2005. L’ultimo lavoro di cui voglio parlare.
Realizzato in poliuretano e abiti comuni da ragazzino, l’artista gioca in una azione a stilistica originata da cortocircuiti elettrici che si alimentano in determinati momenti della visita. Purtroppo ho solo uno scatto disponibile, dal quale si puo’ osservare qualcosa e immaginare.
L’intenzione è rappresentare l’autodistruzione, farla avviare percettivamente in chi guarda. L’osservatore si trova condizionato e immobilizzato da una vera paralisi emozionale guidata dai colpi di testa che il bambino compie contro il muro.
L’opera assorbe i fatti storici, li ripensa e manda un segnale lampante sullo stordimento che ha subito la popolazione cecoslovacca durante i fatti del 1989, quando Praga fu attraversata dai movimenti della Velvet Revolution – la Rivoluzione di Velluto – che contribuì alla suddivione del paese in due tronconi (Repubblica Ceca e Slovacchia) nella fase del governo governo Havel.
L’obiettivo dell’artista è di fare un punto sulla disgregazione di quei sogni promessi dal cambiamento di un governo democratico su base repubblicana.
E’ parte della serie Talkmen [Pratende Manntjus], 1999 – 2003.
Clicca per vedere lo slideshow.Se siete da quelle parti l’esposizione è aperta fino al 7 giugno prossimo.
http://www.kunsthal.nl/
http://www.kristofkintera.com/
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