Rubygate e conflitto di attribuzione. Il concetto di democrazia di Rosy Bindi

Creato il 30 marzo 2011 da Iljester

Incredibile ma vero, ma Gianfranco Fini ha deciso di permettere all’aula della Camera di decidere in ordine al conflitto di attribuzione fra i poteri dello Stato sul caso Ruby. Tutto ci si aspettava dal Presidente di FLI tranne questo. Il che ci fa ben sperare.
In ogni caso, per chi non conoscesse la questione, eccovi un breve sunto delle puntate precedenti. La Procura di Milano, in ordine ai reati di concussione e prostituzione minorile imputati a Berlusconi, chiese qualche mese fa l’autorizzazione a procedere per accedere agli uffici di competenza berlusconiana (tra cui l’ufficio del suo contabile). La Giunta per le autorizzazioni a procedere respinse la richiesta e ritenne che la Procura di Milano non fosse competente per il reato di concussione, per il quale riteneva competente il Tribunale dei Ministri. Ciononostante, la Procura decise di andare avanti, procedendo alla richiesta di rito immediato per il Premier. Dinanzi a questa presa di posizione la maggioranza qualche settimana fa ha ritenuto di proporre il conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato; un istituto raramente utilizzato, visti pure i dubbi normativi e interpretativi sugli aspetti procedurali. Ci si domanda infatti se in ordine alla sua sollevazione decide l’Ufficio di Presidenza della Camera (lo staff di Fini) oppure l’aula con una votazione. Un dubbio assai legittimo e persino politicamente determinante a seconda di come viene risolto.
Ebbene, davanti al dilemma, pare che Fini abbia ritenuto di fare decidere l’aula, disattendendo le aspettative della sinistra che voleva invece decidesse l’Ufficio di presidenza. E questo perché è bene ricordare, nell’Ufficio di Presidenza PDL-Lega sono in minoranza. Ergo, se Fini avesse deciso per la competenza dell’Ufficio di Presidenza, la richiesta di conflitto di attribuzione sarebbe stato inevitabilmente respinto, e avrebbero vinto i PM di Milano.
Ma Fini ha deciso diversamente, ed è scoppiata la polemica. Una polemica che personalmente mi lascia basito per il tenore delle parole, e soprattutto per i ragionamenti fatti. In particolare mi hanno colpito le dichiarazioni di Rosy Bindi, la quale è andata a dire che Fini «avrebbe potuto esprimersi con un voto ed evitare il passaggio per la Camaera», poiché «il conflitto non ha fondamento. Il fatto che venga sollevato in forza di un voto di maggioranza, dimostra che si stanno calpestando le regole per garantire l’impunità al premier». Conseguentemente, anche tenuto conto del processo breve «siamo un una dittatura della maggioranza».
Capito? Allora, se quanto dice Rosy è vero, il Parlamento – e cioè i rappresentanti del popolo – non avrebbero dovuto essere chiamati a esprimersi perché altrimenti la maggioranza di loro avrebbe votato a favore del conflitto. Ergo, avrebbe dovuto esprimersi l’Ufficio di Presidenza dove la maggioranza è minoranza.
Se voi siete capaci di leggere tra le righe di questa dichiarazione scoprirete che: a) la maggioranza di tutti i deputati (630) non è legittimata a decidere, perché voterebbe a favore del conflitto di attribuzione che secondo la Bindi (e la sinistra) è infondato; b) soltanto (soltanto!) una decina di deputati, che fanno parte dell’Ufficio di Presidenza, invece avrebbero la legittimazione a decidere, e guarda caso su questa decina di deputati, l’opposizione è maggioranza.
Al di là del singolo caso, io sono di un’altra idea di democrazia. Per me, la democrazia è quella che viene espressa dall’assemblea parlamentare, e cioè da tutti i deputati e/o senatori: del resto è per questo che li paghiamo. Il concetto di «dittatura» della maggioranza, d’altro canto, è un concetto altamente deviante ed è persino pericoloso, poiché fomenta l’idea che chi vince le elezioni e dunque raccoglie la maggioranza dei consensi nella società non è comunque legittimato a decidere per tutti e dunque a governare. Ma il gioco della democrazia è proprio questo: vincere le elezioni e governare secondo le proprie idee politiche e secondo il proprio programma. Le opposizioni hanno la piena legittimità a contestare il merito dei provvedimenti, ma non la fonte. Poiché in tal caso verrebbero meno il valore e il significato stesso della democrazia, che – ricordo – non significa unanimità.


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