Countdown, siamo a quattro giorni dall'inaugurazione della Coppa del Mondo, si parla di arbitraggi. Tema delicato, per cui lanciamo warning, l'argomento trattato è adatto a un pubblico adulto.
Ci è difatti capitato di incrociare qualche talebano di quelli: "vergogna, nel rugby l'operato degli arbitri non si discute, mai!".
Ora, le intenzioni di questi novelli Savonarola sono buone, in linea di principio: mantener le distanze dalla suburra del calcio. Come si dice però, di buone intenzioni sono lastricate le vie dell'inferno: dal nostro punto di vista ciò rivela solo scarsa comprensione del ruolo dell'arbitro nel rugby e soprattutto il non aver afferrato la differenza importante col calcio: è il risultato in campo e non l'arbitraggio quello che va accettato a prescindere. Niente sguaiate proteste durante, no delegittimazioni partigiane dopo; proprio perché le decisioni si accettano durante e quindi si possono tranquillamente discutere dopo, davanti a un boccale di birra.
L'arbitro nel rugby non è il Giudice, l'Angelo Vendicatore che si libra sopra il campo ed eroga sentenze (magari "redistributive" e non meritocratiche) a colpi di fischietto: fa parte del gioco, anzi lo comanda e gestisce, dirigendo e rivolgendosi ai giocatori in modo paternalistico nel senso buono. Previene prima che che curare; avvisa, non applica solo deterrenti.
Pochi ci fanno caso, ma ai Mondiali ci sono 20 nazionali e solo 10 arbitri designati, più sette assistenti-guardalinee tra cui Damasco e quattro Tmos tra cui De'Sanctis (cfr. lista in fondo). Per tutte le 48 partite.
Dieci personaggi fondamentali, tanto che il leit motif della gestione da due anni a questa parte del gran capo della classe arbitrale Paddy O'Brien, l'uomo che prima provò con le Elv, le variazioni sperimentali alle regole, NON è stata tanto la selezione uno per uno dei "fedelissimi" (anzi, sono stati utilizzati criteri abbastanza oggettivi); la ricerca si è diretta alla massima omogeneità delle interpretazioni, nel tentativo di svellere la tradizionale differenza tra arbitraggi Boreali vs. Australi, figlia - o generatrice? - di diversi approcci al gioco.
In questi ultimi due anni il programma è stato intenso, molto s'è dibattuto, tanti sono stati gli scambi di arbitri tra Nord e Sud; i risultati sono palpabili. A O'Brien però non basta: negli ultimi Test ha notato, trapela, un certo rilassamento nell'applicazione delle interpretazioni raccomandate rispetto a quanto desidera. Per cui martedì ad Auckland i magnifici Dieci saranno riuniti e si sentiranno ribadire il suo "tolleranza zero" nelle cinque aree stabilite: breakdown, mischia ordinata, fuorigioco, maul e gioco pericoloso (prese al collo, spear tackle etc.). In particolare secondo O'Brien gli arbitri dovranno aumentare l'attenzione durante il placcaggio (release ball per il placcato, roll away per il placcatore e on your feet per chi si aggiunge a contestare) e linea di fuorigioco.
Detta così non parrebbe gran belle notizia per gli All Blacks, dato che oramai nemmeno più in Nuova Zelanda si nega che facciano cheating (falli intenzionali) sistematico, in particolare attorno al punto di incontro, non solo sotto la ruck per rallentare e rubare ma anche attorno ad essa (vedi attenzione al fuorigioco).
Noi malpensanti invece si rimane preoccupati, ricordando come O'Brien diventi nervoso in coincidenza col connazionale Graham Henry coach degli All Blacks, il quale ultimamente non deve dormire sonni molto tranquilli, visto che la fuga durata due stagioni è stata ripresa all'ultimo chilometro e ora la volata finale è tutta da conquistare, come efficacemente sintetizza Vittorio Munari.
Di fatto se torniamo al 2009, O'Brien prima espresse la ferma intenzione di farla finita con l' "aerial ping pong" quando gli All Blacks le buscavano anche in casa dagli Springboks; più tardi il capo arbitri s'inviperì con Castrogiovanni, usandolo pubblicamente come esempio negativo (cosa inaudita) per stigmatizzare le imperscrutabili tecniche Boreali di predominio in mischia ordinata che lui desidera estirpare, guarda caso dopo che l'Italia umiliò la mischia All Blacks davanti agli 80.000 di San Siro. Castro. ricorda bene quel periodo: mai preso tante punizioni in vita sua, nemmeno quando andava a scuola.
A distanza di due anni, se ne videro le conseguenze ne l'arbitraggio surreale di Clancy, uno dei Magnifici Dieci, al recente Le Crunch Inghilterra - Francia nel Sei Nazioni: fischiò sistematicamente per un tempo intero contro chi tentava di giocare la mischia ordinata, cioè contro "pivelli" del rango di Domingo, Mas e Servat. L'intento è palese: fatela durare il meno possibile, 'sta ripresa del gioco. E quindi fatalmente depotenziatela.
Il rugby poi non è fatto solo di mischie, placcaggi e la linee del fuorigioco; ultimamente il cheating dei più scafati si è fatto più sofisticato, si spinge verso terreni vergini aldilà delle aree sorvegliate speciali di O'Brien. Potere della posta in gioco sempre più alta.
Un bravo giornalista, Mark Reason, in un articolo che Down Under ha fatto scalpore punta il dito (magari in una sola direzione: dovrebbe venir su a vedere cosa fa l'Irlanda). Dov'era Richie McCaw (sempre lui!), chiede, mentre Wyatt Crockett andava a marcar meta all'angolo nella prima partita contro il Sudafrica? Era un metro e mezzo in fuorigioco, a bloccare l'intervento del lock avversario. Chiaro che l'arbitro non lo vedesse, guardava la palla. Idem nella prima partita contro l'Australia: Piri Weepu va in meta tagliando in un buco, creato da Ali Williams inchiodando al suolo Quade Cooper. Nella seconda meta della stessa gara, Ma'a Nonu fa un blocco stile basket per Kieran Read. Il massimo è stato nel decider di Brisbane: mentre Ma'a Nonu marcava la seconda meta, c'era Pocock trattenuto per terra da Mealamu e un altro AB a caso (fate voi chi) per ben 14 secondi. Tutte cose relativamente nuove, holding back e ostruzioni fuori dalla linea visuale dell'arbitro. Ma Paddy O'Brien non incoraggia a porvi attenzione, non sta chiedendo agli assistant di aiutare di più l'arbitro.
Tant'è, le squadre dominanti giocano non solo pensando all'avversario ma anche all'arbitro: lo considerano parte del gioco, un po' come gli antichi greci con le divinità dell'Olimpo. Una volta era per "capirli" mentre oggi, in epoca di interpretazioni standard, per vedere fino a che punto si riesce ad arrivare.
Protagonisti sono i loose forwards, quelli più impegnati nei punti di contesa. Spiega il sudafricano Francois Louw: "Credo che la cosa più importante sia entrare in sintonia con l'arbitro. Certuni son migliori di altri nel farlo, e se alla fine riesci a sfuggire (alle sanzioni) è la prova che hai fatto un buon lavoro". Conferma candidamente l'emergente Sam Walburton, fresco capitano 22enne del Galles: "Devi mettere alla prova l'arbitro. Non esiste openside flanker che non lo faccia", e riferendosi esplicitamente al master cheating Richie McCaw: "Stimo Richie come il migliore di tutti a testare (sussing out) l'arbitro, ma questo fa parte del gioco". Una difesa della categoria, sollecitata dalla stampa neozelandese, che prima negava l'evidenza e ora è alla ricerca del "così fan tutti".
La stessa scelta dei capitani oggi si fa in funzione dell' "esposizione" con l'arbitro: una volta eran quelli bravi a far lo speech nello huddle iniziale e finale, gli anziani rispettati e acclamati dai compagni, i reduci di mille battaglie; oggi si toglie responsabilità agli Elsom cui evidentemente pesava e tocca ai meno "timidi" Walburton.
Già nei Mondiali del 2007 si vide una squadra - guarda caso gli All Blacks - penalizzata da un irrigidimento improvviso delle interpretazioni arbitrali rispetto all'andazzo cui s'erano abituati: fu destabilizzante per loro. Quest'anno i Tutti Neri arrivano alla Webb Ellis Cup con la medesima nomea ma non sono certamente gli unici, e non è detto che saranno loro a venir penalizzati stavolta. Magari lo sarà la mischia ordinata ... francese, o i placcaggi un po' così di Manu Tuilagi. Dipenderà molto da quel che si diranno tra loro i Magnifici Dieci col Paddy, martedì prossimo. Una cosa è certa, l'arbitraggio conta e noi continueremo a discuterne apertamente.
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