Magazine Diario personale
A due minuti dalla fine i 33 mila sulle tribune del Flaminio sono diventati un Roberto Benigni collettivo, una patria ovale che cantava Fratelli d’Italia e spingeva con la voce quella maledetta, ultima, interminabile mischia. «Mi tremavano le gambe - dice Giancarlo Dondi, il presidente della Fir, anni 76, una vita passata a vedere l’Italia vincere (poco) e perdere (molto) -. Quando l’arbitro ha fischiato non riuscivo a crederci». Invece è vero: 14 anni dopo Grenoble abbiamo battuto la Francia, 22-21, a Roma. Una Porta Pia ovale, una breccia nella storia. Quella di Grenoble fu la partita perfetta, finale della Coppa Europa, il primo hurrà contro cugini un po’ distratti dallo Slam appena chiuso nel 5 Nazioni (come si chiamava allora). Il match che ci aprì le porte del Torneo. «La madre di tutte le vittorie», secondo il capitano di allora Giovanelli. Questa è semplicemente la vittoria più importante, infilata dentro il Sei Nazioni più folle, arrivata a un passo dal 150° dell’Unità d’Italia.
Contro una Francia piena di talento individuale e di spocchia collettiva, che stavolta era venuta per stravincere e continuare a sperare di prendersi il Sei Nazioni. Siamo usciti dal bozzolo intravisto contro Irlanda e Galles. E ad alzare il Trofeo Garibaldi, la Calcutta Cup del Mediterraneo, ricevuto dalle mani di Anita Garibaldi Jallet, pronipote dell’Eroe dei Due Mondi, è stato Sergio Parisse. «Un sogno che diventa realtà, una vittoria della passione - ha buttato lì con comprensibile retorica il capitano -. La Francia resta più forte di noi, ma oggi abbiamo dimostrato che se giochiamo con il cuore possiamo battere chiunque». Loro più talento, noi più voglia.
Il trionfo del credo-Mallett: restare incollati agli avversari, a tutti i costi, per provare a batterli nello sprint. E una sceneggiatura perfetta. Primo tempo così così, dove abbiamo sofferto in mischia, perdendone 4, chiuso in svantaggio di 2 punti. Poi la paura di crollare all’inizio del secondo, quando i galletti hanno premuto sull’acceleratore, andando in meta con “Asterix” Parra al decimo, 18-6 per loro. Due calci storpiati da Mirco Bergamasco, Castrogiovanni chinato per un minuto ad allacciarsi la scarpa, Parisse che gli batte la mano sulla spalla. Sembrava l’acquerello dell’ennesima disdetta, è stato l’inizio del Risorgimento. La calma prima della meta trascinante di un Masi monumentale all’estrema (man of the match), imboccato da Benvenuti e da un Semenzato formato Mundial. Prima dei tre calci (contro uno di Parra) infilati da un Bergamasco (6 su 8 alla fine) improvvisamente benedetto, di una rimonta commovente e strepitosa costruita anche dalle grandi prestazioni di Zanni, Canale, Ghiraldini, di Burton subentrato a Orquera, di tutti. Al 74’ il sorpasso, una punizione angolatissima di Bergamasco, l’eroe al negativo del match con il Galles: «Ho pensato che non potevo rovinare a tutto, non ho guardato il tabellone: un calcio orrendo, ma è entrato».
Per costruire i miracoli serve anche un po’ di fortuna. La Francia «sbruffona», come l’ha definita Lo Cicero, convinta di potersela cavare per eccesso di classe, ma slegata, pasticciona, era già evaporata da dieci minuti. «Quando ho visto i francesi che guardavano a terra e parlottavano preoccupati - racconta Parisse - ho capito che potevamo vincere. In settimana ce lo eravamo detti: non rispettiamoli troppo, non facciamoli più forti di quello che sono». Il resto è stato grinta, placcaggi e paura dannata che come contro l’Irlanda e il Galles qualcosa - un fallo sciocco, un drop avversario - potesse andare storto in zona Cesarini. Due minuti con i pacchetti che si scornavano nella metà campo azzurra, due crolli, due ripetizioni, l’urlo finale, quasi incredulo, a tempo scaduto. Il Cucchiaio di legno è scongiurato, il ct a scadenza Mallett ora diventa un chiodo nella storia, fra una settimana c’è la Scozia, la nostra vittima storica, a Edimburgo. «Dopo il disastro con l’Inghilterra avevo un po’ perso la fiducia - racconta Nick il caldo -. Ma negli ultimi sei mesi abbiamo giocato 6 buone partite su 7, questa è la più bella giornata della mia vita di allenatore. Molti giocatori nell’ultimo anno sono migliorati del 40 per cento, alcuni del 100 per cento, sono fiero di questo gruppo». Lievremont, primo ct francese a perdere con i cugini poveri nel Torneo, se ne va nero, il presidente Dondi gongola: «Ora abbiamo 25 giocatori di livello, non solo 15. E se penso che con un po’ di fortuna in più potevamo essere a 6 punti nel Sei Nazioni... Ma accontentiamoci». Il giorno di gloria, questa volta, è roba nostra.
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