Quant’è cambiata la comunicazione scientifica…
Nei giorni scorsi i rumour sulla presunta scoperta del bosone di Higgs hanno agitato la blogosfera scientifica. Tutto è partito da un commento in un post, dal quale sembrava emergere che c’erano indizi, per ATLAS e per CMS, dell’esistenza del bosone di Higgs con una massa intorno a 125 GeV, ma con un sigma inferiore a 3. Nemmeno un’evidenza, perciò. E men che meno una scoperta. Come mai questa fuga di notizie? Ovvio: è difficile mantenere confidenziale un’informazione quando in una ricerca sono coinvolte molte centinaia di persone.
Siccome su “Higgs sì” e “Higgs no” alla fin fine, in mancanza di informazioni più precise delle voci di corridoio, non c’era granché da dire in attesa del seminario ufficiale del CERN, nel giro di pochi giorni alcuni blogger (scienziati, comunicatori scientifici o semplici curiosi che fossero) hanno cominciato a imbastire un confronto serrato su “parlare dell’Higgs” contro “tacere dell’Higgs”. Qualcuno (Marco, per esempio) sosteneva che no, non se ne dovrebbe parlare finché non ci sono dati certi: misure, cifre, grafici, comunicati ufficiali. La scienza non si fa con i “si dice” e i “forse”. D’altronde, obiettavano altri (fra cui Peppe), in un blog non si fa scienza. Semmai si fa comunicazione della scienza. E chi se ne occupa non deve necessariamente sottostare alla stessa deontologia di chi fa scienza. Deve verificare i risultati, garantire ai propri lettori che non pubblica frottole, evidenziare il grado di incertezza di una presunta scoperta. Ma non ha obblighi di riservatezza sui risultati.
Chi ha ragione? Tutti e nessuno. Di fatto, la comunicazione della scienza è profondamente cambiata negli ultimi anni. E il cambiamento è stato provocato da quello straordinario strumento di democratizzazione che è Internet. Una volta la comunicazione scientifica avveniva su due livelli. Lassù gli scienziati parlavano fra loro. Non che non ci fossero rumour e voci di corridoio. Ma restavano circoscritti alla comunità scientifica. Che poi certificava le proprie scoperte attraverso gli articoli sulle riviste professionali e le comunicazioni ufficiali ai congressi. Da lì, la conoscenza percolava sul secondo livello, quello della divulgazione, dove le scoperte diventavano di dominio pubblico. Quando però ormai erano state riconosciute ufficialmente. Ebbene, ora l’accesso alla comunicazione universale attraverso Internet ha mandato in cortocircuito questo meccanismo. I rumour diventano di dominio pubblico alla velocità di un clic del mouse. La discussione interna alla comunità si è spostata nei blog e nei social network, dove però è alla portata di tutti. A ciò si aggiunga che i grandi istituti di ricerca, dalla NASA al CERN, hanno imparato a lasciar trapelare spizzichi di notizie attraverso annunci enigmatici, comunicati stampa con mezze verità, anticipazioni di non meglio precisate grosse rivelazioni, bypassando il tradizionale processo di validazione scientifica. Così quello che dieci anni fa sarebbe stato un seminario per cervelloni della fisica delle particelle diventa, nell’era del Web 2.0, un evento mediale di interesse collettivo.
E’ meglio? E’ peggio? Difficile dirlo. E’ diverso, questo è sicuro. E’ un mondo nuovo della comunicazione con il quale devono fare i conti sia gli scienziati sia i professionisti dell’informazione. Intanto, mentre loro fanno i conti, il pubblico là sotto, sprovvisto degli strumenti critici per interpretare gli annunci e distinguere i fatti assodati dai rumour, becca quel che capita e finisce per capirci poco o niente.