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La trama (con parole mie): Jacky Vanmarsenille lavora nella fattoria di famiglia e traffica in ormoni della crescita, che inietta ai suoi capi in modo da incrementare la rendita offerta dal bestiame.
Quando un socio in affari lo mette in contatto con un boss locale, la sua vita si complica: ci sono di mezzo l'omicidio di un poliziotto, il disequilibrio dei suoi nuovi contatti, il vecchio amico Diederik - testimone del terribile avvenimento che costò a Jacky non ancora adolescente una vita normale e provocò la sua dipendenza dagli steroidi -, la sorella del responsabile di quello stesso trauma ed una vita che pare inesorabilmente segnata da solitudine e nerissima desolazione.
Per prima cosa, ringrazio Ottimista per la segnalazione di questo film.
A volte capita di incontrare pellicole in grado di raccontare ben più di quello che mostrano, dalle inquadrature artistiche e tendenzialmente fini a se stesse fino alle sequenze serrate da lasciare senza fiato: Rundskop è una di queste.
Purtroppo ancora - e probabilmente mai - distribuita in Italia, questa storia terribile ed oscura è figlia della stessa mitologia che guidò Refn nella sua trilogia Pusher e al più recente e splendido Drive, mio personale film dell'anno nell'appena trascorso 2011: un protagonista che ricorda quasi un antieroe letterario, o figlio del Cinema di Melville e dei grandi Maestri orientali dell'action melò, si tuffa inesorabilmente nel gorgo che rappresenterà la sua fine con una consapevolezza disarmante e clamorosamente umana, neanche si trattasse di un malato terminale che vede la sua emotività progressivamente divorata da un cancro che il suo ambiente ha generato e che non conosce lotta o tentativo affinchè possa essere recuperata.
In questo senso i flashback che riportano al momento in cui il Jacky del presente ebbe origine, così come il suo rapporto con Lucia divengono i tentativi disperati di un giovane uomo condannato alla penombra del suo bagno, che ricorda una cella di isolamento, tra i pugni chiusi scagliati contro il mondo - o se stesso? - e gli steroidi in grado di renderlo simile ai capi di bestiame che sono il suo lavoro, il suo esperimento, il suo grido d'aiuto: proprio a Lucia risponderà che lui "lavora con la carne", senza ben capire, probabilmente, se si tratta della sua - destinata a morire - o quella di un giovane vitello appena nato - destinata, ma solo per un tempo limitato, a vivere -.
E proprio nell'esperienza che legò indissolubilmente e separò inesorabilmente Jacky stesso e Diederik esplode la potenza della narrazione di Roskam, che sfodera una sequenza da far impallidire anche l'Haneke di Niente da nascondere, spostando all'improvviso, con un movimento di macchina quasi impercettibile, l'attenzione dalla vittima diretta del fatto - Jacky, per l'appunto - e quella indiretta, ma non per questo meno segnata - il succitato Diederik -.
Con il personaggio dell'ex migliore amico del protagonista, informatore della polizia, gay non dichiarato - clamorosa la scrittura del suo rapporto con il poliziotto -, vigliacco atavico e gregario per vocazione, la sceneggiatura - solo apparentemente statica - assume uno spessore da grande epopea criminale e umana, tanto da rievocare ai miei occhi le miserie che, ai tempi, soltanto Dostoevskij e Schiller riuscirono a disegnare attorno alle loro "creature".
Diederik diviene dunque l'altra faccia della triste medaglia di Jacky, un moderno Quasimodo criminale che vive una vita da spettatore isolato in una menomazione che ha originato la sua dipendenza e, probabilmente, il suo stesso "personaggio", divenendone l'ombra, l'eminenza grigia, l'espressione di una solitudine non più dettata dal corpo, ma dalla mente.
Questo Runskop diventa dunque la prima, grande visione di inizio 2012, una pellicola nella piena tradizione del grande noir di genere in grado di colpire a fondo e mostrare, attraverso gli occhi di Jacky, tutta la rabbia e l'inquietudine di chi, da vittima, finisce per vivere una vita da carnefice: quasi come se un animale in gabbia decidesse di averne avuto abbastanza, e lottasse in una corrida disperata per portare nella tomba con lui il numero più grande possibile dei suoi carcerieri.
Ed è proprio questo il finale più sanguinoso e tristemente possibile per una favola distorta in cui la bestia resta prigioniera del suo aspetto e la bella è una principessa impaurita e sottilmente crudele capace di un male peggiore del più esperto tra i cacciatori.
MrFord
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