Con tutta probabilità non c'era storia più cinematografica di quella che vede accomunati Niki Lauda e James Hunt.
Corse folli, vite completamente agli antipodi, sfide piene di eccessi e drammi sentimentali e fisici dietro l'angolo. Il tutto condito da belle donne e belle auto.
C'è voluto Ron Howard per raccontarcelo su grande schermo, in quelli che per molti è un film da Oscar e che grazie all'immedesimazione di Chris Hemsworth e Daniel Brühl con i piloti acquista ancora più valore.
Per me, invece, altro non è che un classico filmone hollywoodiano. Ben fatto, per carità, ma nulla di così nuovo o stupefacente.
E non lo dico da donna, da allergica ai motori, perchè -anche se la mia guida non lo potrebbe mai dimostrare- di motori sono stata appassionata, e conservo speciali ricordi di domeniche pomeriggio sul divano a vedere gran premi.
Il fatto è, che quanto mostrato da Howard è fin troppo dentro i canoni: il duro lavoratore e perfettino Lauda, l'inguaribile donnaiolo e pieno di eccessi Hunt, la loro viscerale opposizione, le frasi -tante- ad effetto, la corsa verso il successo, la caduta.... tutto è dosato al millimetro, con annessa colonna sonora ad hoc che passa dall'adrenalina all'emozione al momento giusto.
Si parte, infatti, dall'esordio di entrambi in formula 3, passando per gli sforzi -comprati- di arrivare tra i grandi; si passa per la tormentata storia d'amore di Hunt con la modella Suzy Miller e quella più nei canoni di Lauda con la donna della vita (almeno fino al 1991), Marlene Knaus; si attraversano ancora i numerosi gran premi del 1976, che li vedevano scontrarsi in un lungo testa a testa, per arrivare al famoso e tragico incidente del 1° agosto. E poi, la riabilitazione, la rinascita e la sfida finale in Giappone -quanto mai cinematografica-, fino al rispettivo ammirarsi.
Equilibrio dunque, fin troppo equilibrio e didascalismo in una storia che non ha neanche troppo bisogno di essere romanzata, ma che poteva dare molto di più e poteva essere molto più particolare nelle mani di un altro regista.
Un regista che magari avesse evitato così tanti product placement -giustificati, visto il marketing dell'epoca, ma degni di 007- e di rendere noi italiani, con tanto di Favino al seguito, le solite macchiette -ora, ditemi dove hanno preso quei meridionali che scarrozzavano beatamente per il Trentino...
Ron Howard è un mestierante, niente da dire, un artigiano che calibra con precisione le sceneggiature e la regia, ma non è certo un innovatore né un regista che sa sconvolgere le masse. Accontenta, fa il suo lavoro conoscendolo nel profondo. E' un Niki Lauda, insomma, non certo un viscerale e spassionato James Hunt, che gioca la sua stessa pelle, la sua vita in quello che fa.
E se in pista questa minuziosità viene premiata, in sala, da una storia simile, io mi aspetto di più. Peccato.
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