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Rush: il lato epico di una storia vera

Creato il 04 ottobre 2013 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

Rush

“Metto in conto il 20% di possibilità di morire, di più non lo accetto” ripete continuamente il saggio e disciplinato Niki Lauda interpretato da Daniel Bruhl. Per Ron Howard invece, nel girare un film sul memorabile antagonismo Hunt-Lauda, la percentuale di rischio d’uscire fuori strada era assai maggiore. Poteva sbandare a destra verso uno sterile “biopic di coppia” o cappottarsi a sinistra in una rombante americanata alla Fast and Furious o Driven. Il regista di Apollo 13 monta invece una macchina perfetta, che sa tenere la strada, il ritmo e la tensione alti per due ore filate. Carta vincente la scelta di portare on screen il lato epico di una storia vera che supera anche la migliore sceneggiatura. Colpi di scena con ruote logorate e sorpassi mozzafiato all’ultimo giro sarebbero stati banale caramello made in Usa se il film fosse stato solo frutto del genio creativo di un regista. Rush è molto di più, una grande storia di vita e di sport, più forte e più bella del cinema stesso, ma che nel cinema trova la sua massima glorificazione.

Protagonisti due personaggi opposti, un angelo (Niki Lauda, impersonato da Daniel Bruhl) e un demone (James Hunt impersonato da Chris Hemsworth). Il primo è ingegnere meccanico prima che pilota, uomo di pensiero prima che di pedale, che antepone la vita all’agonismo. Il secondo è un cane sciolto, talento puro e arrogante, che privilegia la potenza al controllo sia in gara sia nella sua vita spericolata. Punto in comune:  l’uno è l’ossessione dell’altro. Ed è in questi valori e sentimenti che Rush si fa sano cinema americano (nell’accezione positiva del termine), di quello che parla di sfide e invidie, amore e passione, istinto e ragione, con una buona dose di coinvolgente e spettacolare action e un’accelerata sul lato umano di personaggi che non rimangono sagome incappucciate nel metallico abitacolo di vetture leggendarie e inarrestabili.

Rush di Ron Howard è quindi cinema classico nella migliore sfumatura del termine, dotato di una solidità vecchio stile, che colpisce e diverte senza ricorrere a tocchi sensazionalistici, avvolto da un’aura da bel filmone anni Novanta. Un’opera d’altri tempi che, come ogni eccezione che conferma (e smentisce) la regola, piace oggi più di ieri.

Voto: 8

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